Emanuela: scrivere è un modo per spiegare le cose, per esempio Gian Burrasca scrive un diario; leggendolo, si capisce che quello che tutte le persone adulte della sua famiglia considerano come delle monellerie, sono per lui un modo di mettere ordine nel mondo.
Bambino: Chi è Gian Burrasca?
Emanuela: Gian Burrasca è il protagonista di un libro che vi consiglio di leggere. Si intitola Il “Giornalino di Gian Burrasca”. Lui è il più piccolo della famiglia, ha due sorelle molto più grandi che lo considerano una vera peste. Per questa ragione i genitori lo mettono in collegio. Lui scappa di casa e prende un treno a vapore. Lo trovano con la faccia piena di fuliggine e con la polmonite. Finalmente si accorgono di lui e lo riempiono di coccole. Avranno capito le sue ragioni? Chissà…
Bambino: quindi capiscono quello che lui voleva fare?
Emanuela: Sicuramente capisce meglio lui: scrivere è proprio un modo per capire le cose. Per esempio uno dei libri che ho scritto parla di un ravanello perché volevo spiegare l’importanza delle piante e della natura. Ho iniziato raccontando come si semina un ravanello. Ma prima che si sviluppi, sotto terra, occorre aspettare venti giorni: si può capire l’impazienza dei bambini! Invece, nella coltivazione delle piante, bisogna avere sempre molta pazienza e sapere osservare. Che fare allora per rendere accettabile la pazienza? Così ho deciso di scrivere venti storie, una per ogni giorno di attesa. Non ho negato l’impazienza. Ho cercato di capirla ma anche di accompagnarla, in modo che venga frenata e l’esperienza non venga rovinata.
Ecco una storia. Una lucertola si affaccia e vede una bimba che fa merenda. Ogni giorno, la lucertola va da lei a prendere un pezzetto di formaggio. A poco a poco, diverranno amiche. Grazie alla volontà della bambina di fare amicizia, stando ferma e lasciando a poco a poco che la lucertola si fidi di lei.
E pensate che questa è una storia vera.
Oppure c’è quest’altra.
Una chiocciola, muovendosi lentamente, si ripara sotto la foglia di un cavolo dove una veloce libellula va a posarsi. Così, ogni volta che la veloce libellula fa qualcosa, la lenta chiocciola risponde lentamente e…la mattina dopo, il cavolo su cui si era posata la libellula non c’è più perché la lenta lumaca, piano piano l’aveva divorata durante la notte. Il che vuol dire che a volte la lentezza ottiene effetti più soddisfacenti della rapidità.
Bambino: quanto deve essere lunga una storia?
Emanuela: il punto non è quanto è lunga una storia. Le idee vengono da sé quando osservi, pensi, immagini, scrivi. Le devi coltivare un po’ e pensare a non annoiare, mettendoci delle sorprese, come nella vita vera o dei paradossi, come una personaggio molto pesante che danza sulle nuvole. Dipende dal tipo di storia che vuoi raccontare, se di fantasia o romantica o realistica. Poi una volta che hai chiara la storia ci devi lavorare, per togliere le parole in più o sostituirle con quelle più adatte.
Ho scritto un libro per bambini che non sanno leggere, puntando molto sulle figure. Un neonato per esempio sa già leggere le espressioni del viso. Questo libro, Tararì tararera, seguito da Badabum e da Rulba rulba, è fatto in modo da far divertire i grandi nel leggere un linguaggio inventato. Ma anche i bambini si divertono perché capiscono l e figure e vedono che i grandi fanno le facce e le voci strane, per cercare di interpretare il testo. Così, divertendosi insieme, si impara ad amare le storie, i libri, così come tutte le altre cose che si fanno volentieri insieme: le passeggiate, i cibi buoni, le feste… Ecco questa storia potevo leggerla anche con un tono tutto uguale e così non si sarebbe capito nulla. Per questo vi dicevo di leggere bene le cose che scrivete, così chi vi ascolta si diverte e magari apprezza di più i testi che ascolta.
Bambino: ma come ti è venuto in mente di inventarti una lingua?
Emanuela: mi ero arrabbiata perché i grandi dicono sempre che bisogna leggere, ma loro non leggono mai.
Si diventa capaci di leggere e di immaginare se si legge con piacere e se si vedono altre persone felici di leggere. Non servono le gare di lettura, la lettura come compito e i riassunti.
Non tutti i libri vi devono piacere. Sarebbe importante che i grandi leggessero con piacere per donare a voi un momento felice da condividere. Così vi farebbero apprezzare i libri.
Quando andate in libreria scegliete i libri che vi chiamano. Gli altri assaggia teli. Se vi piacciono, continuate a leggerli. Altrimenti provatene di diversi: ci sono così tante storie nelle librerie e nelle biblioteche! Pensate se tutti i giorni doveste mangiare lo stesso cibo. Che noia!
Leggete libri sempre diversi e ci prenderete gusto. E se un libro non vi piace, lasciatelo e trovatene altri che parlano di cose che vi interessano. Cercateli voi i vostri libri. Cercate quello che vi piace, che vi piace adesso che siete dei ragazzini di undici anni.
Non è che voi non esistiate finché non sarete grandi. Quando sarete più grandi, sarete forse diversi. Per ora leggete quello che vi piace a undici anni. E poi scrivete. Raccontate quello che siete e fate da undicenni. Avete meno libertà dei grandi, ma avete una testa, due occhi, due orecchie, come i grandi. Non dovete aver paura di dire ciò che avete da dire.
Magari un personaggio dei cartoni vi sta dicendo qualcosa di importante, e vi aiuta a dire quello che sentite.
E se avete paura che le vostre parole, i sentimenti che raccontate e scrivete siano letti, nascondete quello che scrivete ai vostri fratelli e sorelle, difendete la vostra privacy. A casa i nascondigli sono sempre possibili. Non state facendo niente di male, state difendendo la vostra libertà di esprimervi.
Bambino vuol dire che è importante che ognuno di noi scriva una storia?
Non dico che tutti debbano diventare scrittori, dico che è importante che tutti scrivano, che portino fuori di se quello che sentono, per potere capire meglio se stessi e i propri pensieri.
Pensate che nei lager si sono salvati pittori e scrittori perché avevano la forza morale di buttare fuori tutto quello che avevano da dire, con i loro testi e i loro disegni.
“La repubblica delle farfalle”, è un libro pubblicato l’anno scorso che racconta storie di ragazzini che di nascosto, nel lager, scrivevano quello che vedevano succedere e le loro emozioni. Nascondevano i loro giornali, fatti di notte, quasi al buio, sotto delle piastrelle. I ragazzi sono stati poi portati via e uccisi ma nessuno sapeva dei giornali e dopo la guerra i loro scritti sono stati ritrovati e sono stati una testimonianza intensa sulla vera vita che si faceva in un lager.
Se scrivi come Anna Frank riesci a sopravvivere anche nelle condizioni più difficili. Se scrivi su un foglio: odio mio fratello cinquanta volte, forse dopo lo odi un po’ di meno. E non gli hai fatto male, se il foglio resta segreto o se poi lo butti via.
A volte la scrittura salva la vita e l’equilibrio personale. Buttando fuori su un foglio si soffre un po’meno. E si è più liberi. Però la scrittura può essere un’arma e, usata contro altre persone, può anche fare molto male. Usata diversamente, come una poesia gentile, può anche fare molto bene. È, insomma, una responsabilità.
Scrivere è uno strumento, può anche tornare utile, come saper usare un martello e preparare una ricetta. Chi è scrittore per professione parte da questa esperienza e poi la supera, lavorando tanto sulla scelta delle parole, in modo da renderle fluide e comprensibili da tante persone. Se per esempio si scrive Quel tipo salì sul cavallo con il cappello… Chi aveva il cappello? Il cavallo o il tipo? Non è chiaro. Se lo scrivi per te, in segreto, può andare bene ma chi scrive per essere letto da tante persone, vuole che chi legge capisca.