Pianissimo – libri sulla strada è una libreria itinerante che promuove l’editoria indipendente e associa alla vendita del libro la lettura pubblica.
Nel 2013, con un furgoncino d’epoca, un Fiat 900 panorama del 1976, pianissimo ha percorso un tour in lungo e in largo le strade della Sicilia.
Qui di seguito il racconto di Filippo Nicosia.
Non sono bravo a fare discorsi generali e neppure mi piace.
Alla perfezione di una teoria, alla sua circolare andatura, preferisco l’imperfezione e le sporcature della memoria. Posso raccontare una cosa per volta, posso accostare, mettere insieme, modulare, viaggiare nel tempo e nello spazio, ma non riesco a fare di tutto questo un unico pensiero, una sola realtà o storia.
È per questo che mi trovo in difficoltà a raccontare le reazioni e sensazioni abbiamo provato a fare le letture con i bambini nel viaggio invernale di Pianissimo. In paesi piccoli senza librerie, nelle scuole, nelle biblioteche comunali, nelle piazze, i bambini sono venuti a sentirci e hanno avuto le storie e i libri. Questo è quello che di generale ho da dire. Lo so è troppo poco.
Per dar meglio l’idea, posso affidarmi a un giorno soltanto. Così ho scritto per i lettori de La Grande Fabbrica delle parole, il ricordo della giornata di Caltagirone e dei bambini del quartiere Semini.
Caltagirone – 15 dicembre 2013
Un occasionale indirizzo per la vita
Il quartiere Semini non è la maestosa scalinata di ceramica e neppure gli altri piccoli viottoli, tutti a scale anche loro, che intessono il reticolo del centro storico di Caltagirone.
Non ci camminano turisti portati al guinzaglio da corpose macchine fotografiche – gli sguardi in alto alle decorazioni delle chiese – venuti sotto Natale, partoriti da grossi pullman, per vedere i cento presepi dei maestri ceramisti locali.
A sud est della città, il quartiere Semini è un quartiere popolare, di casamenti bassi, piazze disadorne, poche auto con lo stereo a tutto volume che passano, balconi con le persiane abbassate, la vita com’è, senza abbellimenti. Quella parte di carne vicino all’osso e al cemento.
Ci arriviamo con il furgone e ci sistemiamo al centro della piazza proprio di fronte al teatro che prende il nome dal quartiere. Ex macello comunale, recentemente ristrutturato, il teatro è chiuso. Ad attenderci lì c’è Fabio Navarra dell’associazione Nave Argo, da anni attiva nel promuovere e realizzare a Caltagirone spettacoli e festival di grande valore artistico, e pronti a lavorare sul fronte dei laboratori teatrali per bambini e ragazzi.
C’è anche Elena Rosa, di Cuori Rivelati, e le sue ‘Ntuppatedde, un gruppo di performers vestite di bianco, spose del marciapiede e degli sguardi attoniti, con un vistosissimo garofano rosso in mano, che riprendono un’antica tradizione della festa di Sant’Agata a Catania quando le donne per due giorni potevano andarsene velate (di nero, loro) a fare le maliziose in giro senza correre il rischio di essere riconosciute.
Passano pochi minuti e nella piazza arrivano alla spicciolata, a piedi, da soli, come sentinelle e primi occhi del quartiere, i bambini. Si accostano al furgone e chiedono che cosa è? Che cosa faccio? Vedono la chitarra e vogliono suonare e vogliono pure leggere. Vogliono tutto e subito. Prima però bisogna chiamarne a raccolta altri e decidiamo di fare una marcia festosa. Elena ha portato tutti gli strumenti a percussione di una banda: trombe, tamburi, tamburelli, pentole, sonagli, maracas, fischietti.
Prendo la chitarra, un cappellino verde in testa, e insieme alla carovana di ‘Ntuppatedde e bambini ce ne andiamo per le quattro strade del quartiere – sono davvero poche – a stanare quei pochi bambini che sono ancora a casa. Cantiamo e facciamo più casino possibile. Dalle finestre e dai bassi, si affacciano corpi domestici, tenute casalinghe, tute, sguardi catodici.
Suoniamo canzoni di Rosa Ballistreri, Rino Gateano, De Andrè, tutte le canzoni in cui è possibile cantare un lallallalla llalalllala. Ballano le ‘Ntuppatedde e i bambini mentre chiamano rinforzi, bussano alle porte e alle persiane
“C’è Salvatore, e Maria, e Giovanni?” Spuntano bambini assonnati dal buio rettangolo delle porte, “Sta facendo i compiti ma dopo viene”, “Arriva subito che deve fare un servizio”, “un servizio” è un modo di dire buffo che hanno padri, madri e zie.
Quando torniamo in piazza facciamo l’ultimo urlo come un branco di lupi “Ahuuuuuuuuuuuuuu” così che qualsiasi cucciolo d’uomo del quartiere possa sentire che siamo qui e stiamo per leggere insieme.
Stendiamo il telo per terra di fronte Leggiu che si apre e fa da scenografia. Leggiamo La grande fabbrica delle parole e succede che i volti dei bambini alla fine sono presi dal rossore, le gote gli si infiammano, le bambine si riscuotono nel corpicino e le labbra si piegano a un sorriso imbarazzato. L’amore, il bacio, fanno questo effetto alla loro età. Leggiamo anche da “Le mille e una notte”, ma piano l’attenzione scema, e così scatta l’ora della merenda: torte e succhi di frutta. In pochi secondi i bambini si dileguano, ritornano a ondate correndo per la piazza, comincia il nascondino.
Ce n’è uno che mi si para davanti, la faccia da grande, determinata, che vuole che gli suoni una canzone. C’è sempre, in tutte le piazze, in tutte le letture il bambino che non ne ha mai abbastanza, che vuole più storie degli altri.
E così il piccoletto mi chiede “Suonami la canzone dell’assassino?”
Ci penso un po’, “Qual è la canzone dell’assassino?”
“Sì, dai”, comincia a spazientirsi “quella dell’assassino?”
Ma certo, vuole cantare il pescatore di De Andrè ma non chiede quella del pescatore bensì quella dell’assassino. Lo accontento e lui ascolta e canta lalalallalla lallalalaaa lallalalla. Alla fine è soddisfatto e torna a correre con gli altri nella piazza, perdendosi nel vociare, dietro spigoli dei palazzi, con la parola “assassino” che gli romba in testa, le note della canzone, il suo significato che prima o poi arriverà a coprire l’adrenalina che prova adesso, che rivelerà di certo, un giorno – non oggi, non in questo cortile adesso, nella sera che comincia, – il senso e la pietà contenute nel testo di De Andrè. Sì, mi dico, verranno a bussare alla porta di quel bambino i significati che adesso ha riposti nella sola parola assassino, e lui si ricorderà di Pianissimo e sarà pronto, perché come pensava Kien, protagonista di Auto da fè di Elias Canetti, di un bambino incontrato di fronte la vetrina dei libri: “un nome ormai l’aveva in testa comunque, un nome difficile da dimenticare […]. Proprio le spinte occasionali e inattese danno agli uomini un indirizzo per la vita.”