Lo scrittore si racconta: intervista a Gabriele Dadati


La 3D e 3B della scuola primaria Ruffini intervistano Gabriele Dadati, giovane autore di romanzi di successo e responsabile di una collana editoriale presso Laurana Editore. Imparare a scrivere? Far sì che le cose belle per me lo fossero anche per gli altri

Perché hai cominciato a scrivere?
Quando ero alle superiori mi sono reso conto che mi venivano in mente delle idee, ma non rispetto a cose che avevo visto o mi avevano raccontato. Erano idee che non venivano da fuori ma da dentro. Come quando devi fare la spesa e fai la lista per essere sicuro di non dimenticarti niente, mi sono reso conto che le cose che mi venivano in mente potevano essere sistemate solo se le mettevo da qualche parte fuori da me se no mi rimanevano in testa. Che un po’ va bene, così le sistemi le rendi migliori e strutturate, ma ad un certo momento bisogna liberarsi di loro. Io ho cominciato a scrivere così: era il modo per fissare le cose, farle uscire e farle incontrare ad altre persone. Questa è la parte facile, poi è venuta la parte difficile che è imparare a scrivere: far sì che le cose belle per me lo fossero anche per gli altri.

Quando hai pubblicato la prima volta?

Undici anni fa, avevo diciassette anni, però le prime cose che ho fatto rileggendole ora non mi sembrano così belle… Mi sembra di aver imparato quello che dovevo fare davvero verso i ventidue-ventitré anni.
È la tua passione scrivere?
Professionalmente sì. Oltre alla scrittura mi piace fare anche altro: faccio anche l’editore, cioè leggo tantissime cose scritte dagli altri e le faccio diventare libri. Adesso, dopo anni di passione e di percorso, sono molto contento anche se aiuto altre persone a fare bei libri. A me interessano le storie e che si facciano dei libri. Ho capito che mi interessa fare libri ma anche farli fare ad altri.

Come sono cambiate le tue storie?

Dal punto di vista dell’immaginazione, le storie che mi interessava raccontare un tempo sono simili a quelle che mi piacciono adesso: non scrivo storie sul Medioevo o sugli alieni, ma storie che parlano del presente (il presente per me comincia alcuni anni fa, quando c’erano già, ma da poco, le televisioni a colori e le automobili; le storie allora erano confezionate con maggiore ingenuità). Una persona impara a poco a poco a fare un mestiere. Anche voi se guardate quello che si fa in cucina, quando si fa una torta per esempio, le prime volte non viene bene, poi piano piano imparate a farla come volete che sia. Io ho cominciato a pubblicare quello che scrivevo mentre imparavo a farlo, c’erano persone che ritenevano che quello che facevo avesse un valore. Quando rileggo quelle storie mi fanno un po’ di tenerezza, e penso a quando le scrivevo che avevo i capelli lunghi e giocavo a calcetto.

Fai altro oltre a scrivere?

Sì, intanto collaboro con una piccola casa editrice: il mio lavoro è di trovare libri da pubblicare o progettarli. Ci sono vari generi di libri: quelli che raccontano storie, ma anche guide o libri scolastici, che l’editore progetta con l’autore. Inoltre faccio altre cose legate alla scrittura: scrivo su quotidiani, riviste, siti internet, scrivo le pubblicità dei libri, che si chiamano trailer. Ho scritto per il teatro, poco. L’ultima cosa che ho scritto è stata un pezzo teatrale per i bambini, che parla di come le famiglie devono accogliere i bambini meno fortunati. Utilizzo la scrittura in tanti modi diversi.

Per che casa editrice lavori?

Laurana Editore, una casa piccolissima che esiste da pochi mesi.

Quand’è che fai lo scrittore?

Gli altri lavori che faccio hanno sempre delle scadenze, entro un giorno devo fare una cosa entro un altro un’ altra. Quindi ho poco tempo. La sera e la mattina presto raccolgo le idee, poi mi prendo alcuni giorni in cui scrivo. Per me è importante scrivere subito un certo numero di pagine, devo avere a disposizione almeno un’ora un’ora e mezza. Non riesco a scrivere poco.

Cosa faresti se non facessi lo scrittore?

Per due anni e mezzo ho lavorato in una galleria di arte moderna, mi sono occupato di storia dell’arte e lo faccio ancora adesso. Si tratta di organizzare mostre, scrivere saggi, studiare, cercare di capire il passato legato all’arte. Però devo dire che quello che sento mio sono i libri.

Ti hanno ispirato dei libri per scrivere?

I libri mi hanno messo voglia di fare altri libri. Perché sentivo che alcuni libri che ho incontrato quando ero bambino/ragazzo mi riguardavano e mi insegnavano a vivere meglio. Quello che mi ispira molto però è la realtà, la vita di tutti i giorni. Una cosa per me molto importante è che qualsiasi cosa vi dicano, sappiate che i libri servono a stare con gli altri e non a stare da soli. I libri sono storie che vengono prima dei cartoni animati del cinema e della TV. Le storie che trovate lì dentro è bello condividerle con gli altri. Io mi occupo di storie perché voglio che più persone possibili abbiano a che fare con quelle storie. Ho moltissimi libri e li presto volentieri a tutti quelli che penso possano voler leggere una certa storia. Questa è la cosa che ho scoperto delle storie: sono qualcosa per stare con gli altri. Penso che tutti abbiano qualcosa da dover fare: c’è chi è molto bravo a giocare a calcio, chi a cucinare… Io penso di dover fare libri e penso non sarebbe giusto che smettessi anche se ci sono momenti di molta fatica e grande scoraggiamento, come in tutte le cose. Ma mi sembra che quello sia il mio talento, il mio compito nello stare con gli altri.

Qual è stata la tua opera migliore?

Sono molto contento di Sorvegliato dai fantasmi che è uscito nel 2006. Il libro è stato finalista a un premio per me importante e gli sono molto affezionato perché è il libro grazie al quale le altre persone mi hanno detto: “Tu sei uno scrittore”. È un libro di racconti. I fantasmi del titolo non sono reali, ma sono le storie da raccontare, le storie che mi venivano a trovare. Il sorvegliato ero io, le storie sono molto diverse tra loro ma in tutte il protagonista si trova di fronte a una prova e la affronta. A volte va male, ma la vittoria sta nell’affrontare la prova.

Studi per scrivere?

Sì: libri di storia, enciclopedie, giornali. Se scrivo una storia ambientata X anni fa ho bisogno di studiare libri, fotografie, che mi facciano imparare cose che non so degli ambienti che racconto.

Se fossi il primo scrittore della storia cosa faresti?

Credo farei quello che hanno fatto le prime persone che hanno scritto libri: raccogliere le storie che sentivano in giro. I primi libri in Occidente , lasciando stare Esiodo, sono l’Odissea, Omero. Libri che raccolgono storie che si raccontavano con la musica e si trasmettevano viaggiando. C’erano delle persone dette “aedi” che viaggiavano e raccontavano storie con la musica, quando si è cominciato a scrivere si è cercato di fissarle, di dare loro una forma.
Scrivi a mano? Sia a mano che con il computer, a mano i miei appunti e poi sempre a computer. Scrivo in continuazione e sono più veloce a battere che a scrivere a mano, inoltre per diventare libro il testo passa sempre al computer.

Quanti libri hai scritto?

Tantissimi: 2 con il mio nome e poi molti per cui ho scritto la prefazione, un testo, oppure li ho curati. Tantissimi sono legati alla storia dell’arte: testi per mostre, saggi, penso in tutto un centinaio.

Come avresti intitolato il primo libro del mondo?

Storie

Secondo te qual è il tuo miglior libro?

Vuoi bene a tutto il tuo lavoro, cerco di non scrivere cose inutili ma di essere onesto e scrivere solo cose che mi sembra debbano essere scritte. Non per andare incontro al mercato.

Che libri hai fatto per bambini?

Ho fatto questo testo teatrale che parla dell’affido familiare, è andato in scena alcune volte ed è diventato un video usato nelle scuole. Poi, in provincia di Piacenza ho fatto un calendario illustrato andato a tutte le scuole elementari.

Ma perché sei venuto a lavorare a Milano?

È comoda Piacenza per venire a Milano, un’oretta di treno. A Piacenza non esistono case editrici che fanno narrativa italiana.

Da piccolo ti piaceva molto leggere?

Sì, sono stato fortunato in questo senso. Mia mamma era insegnante di italiano alle scuole medie, aveva tutta una serie di libri scolastici adatti alla mia età e, quando ero piccolo, avevo paura del buio, non riuscivo ad addormentarmi e lei mi leggeva libri. Lì mi sono innamorato delle storie, poi ho imparato a leggerle da solo. Mio padre non legge molto, le mie sorelle così così, ma in casa c’erano abbastanza libri perché potessi curiosare. Inoltre, quando ero bambino ci siamo trasferiti in campagna e io non conoscevo nessuno, così ho cominciato a leggere molto. Mi piacciono i libri che mantengono quello che promettono, se, per esempio, all’inizio del libro c’è un mistero, ma poi diventa una storia d’amore, non mi piace. Io vorrei che un libro non mi ingannasse e non mi facesse arrabbiare.

Da dove ti viene l’ispirazione per i libri?

L’ispirazione mi viene dalle cose che incontro e sento e mi colpiscono. A patto che la mia mente cominci a lavorarci. Giulio Mozzi dice: sapete come si fanno le perle nell’ostrica? L’ostrica è una conchiglia bivalve, entra un granellino di sabbia e l’ostrica comincia a farci intorno la perla. Per me è la stessa cosa: le cose che vedo sono come dei granellini di sabbia. Le cose che mi hanno colpito mi fanno riflettere: a partire da una cosa vera se quella cosa mi interessa, a volte la mia testa comincia a farci dei ragionamenti, la modifica. Questa cosa all’inizio era del tutto indipendente dalla mia volontà. Non sapevo perché certe mi scatenassero la fantasia altre no. Negli anni ho imparato a far scattare questo meccanismo volontariamente.

Leggi libri e ti vengono in mente storie?

Sì, una volta mi è successo. A volta invidio gli scrittori. Una volta ho letto un libro fantastico, il personaggio principale si chiamava come l’autore faceva le cose che fa lui ecc. e l’autore ti convince così tanto che la storia è la sua vita che ti convince.

Da piccolo qual’era il tuo libro preferito?

C’è un libro che ho letto 13/14 volte e non ho mai letto nessun altro libro di quello scrittore. Il libro è “I ragazzi della via Paal”. È la storia di due bande di ragazzi, tra questi uno alla fine si ammala e muore. L’ho riletto sperando che non morisse, non è un’ingenuità, io racconto storie per poter cambiare il mondo. Immaginavo finali alternativi. È un libro per me molto importante che ora non rileggo più, è un ricordo prezioso, da non toccare.

Scrivi un libro per volta?

Sì, uno alla volta, adesso ho idee per due libri molto diversi e mi sto costringendo a lasciarne uno da parte per lavorare all’altro. Io lavoro così: prendo appunti per alcuni mesi e costruisco la scaletta come se fosse un indice. Se dopo averci lavorato molto mi rendo conto che c’è un intoppo, sono inquieto. Non riesco a capire se la storia ha dentro qualcosa che non va o la risolverò, allora mi dico: forse dovrei cominciar l’altro…

Il mio papà dice che se leggi tanti libri ma non li vivi non serve, è vero?

La cosa più nostra che abbiamo è ciò che abbiamo dentro di noi: le case si cambiano, le persone si incontrano. Le emozioni sono il nostro tesoro, se vivere i libri significa averceli dentro come un ricordo, un pensiero che non può esserti tolto. È vero.

Ti piace fare lo scrittore?

Sì, anche se è una grande fatica. Scrivere è molto simile a fare una torta o costruire un comodino. Richiede un progetto, ma alla fine si ha un prodotto esattamente come quando montiamo una cosa. È un lavoro fisico nel vero senso della parola.

Hai un mito?

Ho stima e ammirazione per una serie di scrittori. Devo dire che ne trovo di due tipi: ci sono scrittori di cui stimo i libri, ma incontrati personalmente non mi sono simpatici. Ci sono scrittori di cui apprezzo l’atteggiamento, nel loro stare con gli altri attraverso la scrittura cercano di fare cose utili: insegnare a scrivere, aiutare nel sociale… quello è un altro tipo di stima. Uno di questi che stimo molto è Giulio Mozzi, che viaggia su e giù per l’Italia per fare cose con le persone.

Quante volte al giorno sei scrittore?

Sempre, con la testa, fisicamente anche qualche sera. A volte le giornate che mi prendo per scrivere sono anche di dieci ore.

Qual è stato il tuo primo libro?

Sorvegliato dai fantasmi.

Quanti libri leggi alla settimana?

Ci sono libri che leggo e libri che uso. Ho a che fare, leggo e uso, progetto e scarto, una quindicina di libri a settimana.

Se sbagli una parola nel libro lo devi rifare da capo? 

No, per fortuna no, finché il libro è ancora nel computer si modifica. Ci sono figure nelle case editrici che aiutano gli scrittori e rileggono con loro: si chiamano editor e redattori.

Da piccolo avevi altre passioni?

Non è che avessi molte altre passioni, ad esempio sono più di dieci anni che non guardo la televisione. Quando mi sono trasferito a Pavia, per l’università, ero in collegio e non ce l’avevo, la sera preferivo stare con gli altri che guardare la TV e da lì non ho mi ripreso l’abitudine.

La tua prima passione è stata quella del museo?

Quella è una passione forte, anche adesso scrivo per i cataloghi ho tanti amici pittori. Mi piace molto andare negli studi e vederli lavorare, un pittore riesce anche a dipingere parlando con un’altra persona e per me veder nascere un quadro è bellissimo.

Hai più facilità a creare personaggi maschili o femminili?

In Sorvegliato dai fantasmi il tema forte è la maternità. La sensazione che ho avuto è stata che le lettrici si siano immedesimate in questo io narrante femminile: per le lettere e i commenti che mi sono arrivate. Più che maschile e femminile, ecco, mi è sempre interessato il tema della maternità. Pensate anche alla storia di due giovani sposi che affrontano la maternità, un bambino è una grande gioia ma ti cambia la vita, questa cosa mi ha sempre creato molto interessa, anche perché riguarda i nostri corpi che è quello che siamo.

Scrivi ciò che vedi o te lo inventi?

Vedo cose che fanno scattare in me meccanismi di immaginazione, anche se scrivi cose prese dalla realtà quando scrivi metti a punto e scegli un’angolazione.

È difficile scrivere?

C’è una cosa che vi devo dire: è in lavoro molto lungo che finché non hai finito finito non sai com’è andata. Hai delle sensazioni ma sono tanti mesi di lavoro o anni, e non sai davvero cosa hai fatto e cosa hai fatto per gli altri fino alla fine. Quello per me è faticoso.

Consigli per scrivere?

Direi due o tre cose che sono vere anche per me. Una cosa importante è rileggere, ma a distanza di tempo. Quando hai fatto la storia sei molto coinvolto, devi far passare un po’ di tempo, e non bisogna aver paura di modificare e riscrivere. Un’altra cosa molto sottovalutata dai grandi: è importante che facciate dei libricini, se la tua storia diventa un oggetto fatto di fogli con una copertina una pinzatrice la tua storia acquisisce una realtà concreta. Non dobbiamo dimenticarci che i libri sono oggetti, i modi in cui sono fatti comunicano qualcosa, e ci dà soddisfazione prenderli in mano. Mai scoraggiarsi e poi leggere tanto. È importante anche provare a collaudare le storie. Provare a raccontarla alle altre persone, a casa o in classe, e provare ad ascoltare i consigli degli altri.