I bambini della 2B intervistano la scrittrice Fulvia Degl’Innocenti a La Grande Fabbrica delle Parole
Quanto tempo ci vuole per scrivere un libro?
Dipende da quanto è lungo. Un libro come La fata delle bolle ha poche parole, ad esempio, e basterebbe anche solo mezzora, poi però dovrei rileggerlo, aggiustare qualche parola, sistemare il dialogo. In totale, un’ora. Per un testo più lungo, come un romanzo per ragazzi più grandi, ci vuole più tempo. Durante la settimana faccio la giornalista, per cui scrivo solo durante alcuni weekend. Magari per un libro ci vuole qualche mese, come è successo per il romanzo Sopravvissuta.
Scrivi un libro per volta?
Anche questo dipende. Ora sto scrivendo un libro grande e domani, che è sabato, mi dedicherò a questo. Oggi, invece, mi sono alzata presto e ho aggiustato una storia su Babbo Natale, che sto portando avanti insieme a un’illustratrice. E poi ci sarebbe un’altra storia, sempre in collaborazione con un’illustratrice, per quando ho un ritaglio di tempo… diciamo che ho più progetti insieme.
Come si fa a illustrare? Serve una macchina?
Io non illustro, ma conosco tanti che lo fanno. Alcuni disegnano con pennelli e colori, a tempera o acrilici, altri invece lo fanno a computer: c’è una penna legata al mouse e un comando per creare i colori. Anche dal foglio di carta alla fine si passa al computer, tramite uno scanner: sarà poi un grafico a occuparsi di comporre insieme parole e immagini.
Se un libro è grande così (mostrando lo spessore) e hai solo sabato e domenica per scrivere, te ne servono tanti di giorni?
Eh sì, scrivo un po’, poi smetto e faccio altro. Ho iniziato l’ultimo romanzo a fine novenbre e lo finirò tra un mese, cioè ad aprile. Per Sopravvissuta ho impiegato quattro o cinque mesi, di sabati sparsi qua e là.
Noi stavamo scrivendo la nostra storia, una volta, e poi non ci venivano le parole… a te succede? Poi qualcosa in giro ci ha ispirato.
Anch’io faccio così, prendo l’ispirazione anche da cose innocenti: un ombrello rosso chiuso e abbandonato per terra, ad esempio, potrebbe essere un “paracaramelle”. Oppure l’idea può venire da un ricordo, un suono, un personaggio, un animale… da tutto quello che fa parte di noi, che incontriamo o ricordiamo. Il mio primo libro è stato La danza delle carote e si è ispirato a mio fratello che, quando era un bambino, non amava le verdure; l’ho messo dentro una situazione fantastica, nel regno magico dei vegetali da salvare, e ho trasformato la storia in un fantasy, anche se lui era reale. Per questo libro piccolino che ho in mano, invece, mi sono ispirata ad un articolo fatto per il mio giornale su un laboratorio di scienza al Museo delle Scienza e delle Tecnica in cui si facevano bolle di sapone; ho preso appunti, ho scritto un libro sulle bolle e poi ho pensato che ci sarebbe stata bene anche una fiaba.
Ma com’è che funziona il rapporto con gli editori?
Ci vogliono tanti passi per arrivare dalla storia alla casa editrice, tanti come i sassolini di Pollicino. Di solito c’è un editor che dice: “Che bella la tua storia!”, però magari non è perfetta e va corretta; gli scrittori, come i bambini, hanno chi li corregge e li aiuta, così che la storia diventi più bella ancora. Oppure l’editor può suggerire di sviluppare meglio una parte del libro, cambiare un po’ il finale, variare una parola. Poi bisogna trovare chi illustra, se è un libro per bambini, e questo lo decide l’editore che ha un cassetto pieno di disegni e cerca il più adatto, perchè ogni illustratore ha uno stile diverso. Questo libro sulle coccole, ad esempio, ha disegni un po’ teneri, ricchi di sfumature: è uno stile classico, per bambini piccolini. Questa storia uscita da poco, Il cielo con un dito, invece, oltre ai colori ha anche pezzi di materiali diversi, come un collage; quest’altro, La fata della conchiglia, è in bianco e nero e assomiglia un po’ a un fumetto. Una volta scelto il disegnatore, gli si danno le illustrazioni da fare e, quando abbiamo tutto, bisogna decidere la copertina e il formato del libro. La forma e la dimensione cambiano: può essere piccolo e quadrato, con pagine di cartone spesso; oppure sempre quadrato ma più grande, con pagine lucide; o, ancora, rettangolare con pagine ruvide; extralarge con copertina a sorpresa e via dicendo. Il mio ultimo libro è uscito ieri ed è arrivato fresco dalle stampe! L’hanno visto solo i miei figli e i miei colleghi, ed è speciale perchè racconta una storia accaduta cento anni fa: il naufragio del Titanic. È bello essere soddisfatti del proprio lavoro.
Ma per un libro si deve stare tanti giorni a fare la copertina e a scrivere le pagine?
Non lo faccio io, anche se qualche volta collaboro con l’illustratore. Sono poi il grafico e lo stampatore che incollano e cuciono. Io faccio solo lo scrittore. Per fare un libro ci vogliono tante persone e ognuno fa quello che sa fare. I titoli quasi sempre li scelgo io.
L’hai scritto tu l’ultimo titolo?
No. Ho scritto la storia in prima persona e il protagonista parla di sé, per cui il titolo è Io Titanic. L’ha scelto l’editore. Io spesso lo faccio perchè sono anche una gornalista, per cui sono allenata a fare titoli: servono massimo quattro parole per farti venire voglia di leggere un libro, devono funzionare e raccontare.
Come fa un romanzo a essere lungo se si spiega in quattro parole?
Ti racconto la tua vita: Anna nacque e visse a Milano. Però in mezzo c’è tutta una storia, sono successe tante cose nella tua vita. Ma da queste quattro parole capisci le cose principali; tutto quello che succede in mezzo, è il libro che te lo racconta.
Come si fa a scrivere un giornale?
Vi faccio vedere il settimanale Il Giornalino. È più complicato di un libro, perchè ha foto, fumetti, giochi, storie, immagini. Ognuno nella redazione, che è l’insieme delle persone che lavorano in un giornale, ha il suo ruolo e fa il suo pezzettino; tutti andiamo in cerca di informazioni e poi cerchiamo le immagini, da varie fonti. Il Giornalino esce tutte le settimane e raggiunge tutta Italia, spedito e nelle edicole.
Tu che parte fai?
Tante. Controllo i giochi, fatti dai collaboratori. E li devo fare tutti! Trovo tutte le notizie delle cose da fare e da vedere, oppure vado in cerca di notizie stranissime in giro per il mondo, su cui scrivo articoli. Rispondo alle lettere dei bambini (nella rubrica Cara Raffa) e do loro consigli; in diciotto anni, ho risposto a migliaia di lettere e mail ed è una delle cose che mi piace di più, perchè dietro alla posta ci sono le persone vere. Mi occupo anche delle recensioni dei libri: quali sono i più interesanti e perchè; racconto le storie di cui parlano, in poche poche righe.
Quando rispondi come mai ti chiamano “Cara Raffa”?
Perchè la rubrica è tenuta anche da un altra persona, che inventa lavoretti con la carta, e il suo personaggio si chiama così.
Questo è stato pubblicato a Taiwan! Tu lo sai leggere Lin? Lo sai tradurre?
Sì (Lin). Parla di una principessa, Rosabella!
Pensate, questo libro è nato in Italia è finito in Cina! I libri fanno grandi viaggi.
Ma quello in cinese l’hai scritto tu?
Io scrivo in italiano ma è successo che a un editore cinese il libro è piaciuto e l’ha fatto tradurre, da una traduttrice cinese che conosce anche l’italiano.
Come si fa a scrivere in un altra lingua?
Ma ditemelo voi ti che siete bilingui!
Ma hai tanta fantasia per scrivere?
Sì, tanta da vendere. Se mi licenziano, posso aprire un banchetto per vendere fantasia in spicchi, gelati, caramelle, cucchiaiate. Ho più fantasia che tempo, e a volte le storie che mi vengono in mente le regalo ad altri scrittori.
Ne scrivi tanti tanti di libri?
Compio quarantasei anni e non ho iniziato da giovanissima; il primo libro è arrivato nel 1998. Quest’anno esce il mio quarantesimo libro di storie.
Quando fai un altro libro?
Uno lo sto scrivendo adesso e ne esce un altro a Pasqua, che narra di pulcini e galli: Due case per cinque pulcini.
Hai mai scritto un libro che fa ridere?
Sì, ho vinto un concorso per il miglior album satirico, La guerra di Remigio. E poi ho fatto tante storie che fanno ridere, come le parodie delle fiabe per il giornale, con Topo Gigio che entrava nelle fiabe (in una si chiamava Mantellina gialla). Mi piace far ridere, ma anche far piangere con una storia commovente.
Libri di barzellette?
No, mie no. Però tutte le settimane, sul giornale per cui lavoro, c’è una rubrica dove ricevo quelle scritte dai bambini. Io le aggiusto un po’.
Ti è mai capitato di sbagliare?
Sì. L’editor si occupa anche di correggere, ma a volte sbaglia anche lui.
Come fai a correggere una parola sbagliata?
Con il computer basta premere un tasto. Una volta stampato il libro, però, non si può più correggere; c’è solo una possibilità: se il libro va in ristampa, allora si può fare. Ma non succede spesso. Capita che ci siano “refusi”, errori sfuggite a tutti i controlli, anche al correttore di bozze.
Ti è succeso di scrivere un libro e piangere?
No, ma mi è successo di essere triste per un personaggio sì. Ci sono storie che finiscono bene, anche se accadono eventi drammatici. Un po’ mi commuovo, ad esempio, quando rileggo Io Titanic, e penso che, se non fossi stata io stessa commosa sentendomi come la nave che affonda, le mie parole non sarebbero state davvero commoventi.