La classe 2F intervista Giorgio Fontana, che così risponde a una delle (molte) domande dei ragazzi: fare lo scrittore è un po’ una questione di identità, come avere i capelli castani o un maglione blu. Non mi sento fiero, sono semplicemente me stesso.
Giorgio Fontana è tornato a trovarci. È stato il primo scrittore a regalare il suo tempo a La Grande Fabbrica delle Parole, quando era ancora un progetto in divenire, e ha partecipato con generosità alle varie fasi della sua evoluzione.
Si è mai ispirato a cose vere?
Si parte sempre dalle proprie esperienze, l’importante è metterci anche un po’ di ispirazione ed evitare di raccontarle per filo e per segno; magari cambiare qualcosa che è importante per noi con qualcosa che interessa a tutti. Anche andare a vedere le cose in prima persona va bene.
Quando scrive?
Dipende. Non lo faccio per lavoro, durante il giorno lavoro per una rivista, sei o sette ore. Quindi mi restano la sera e i week end. In genere sono abbastanza veloce, ma dipende. Per la prima parte dell’ultimo romanzo ho impiegato otto mesi, e la seconda parte, addirittura, l’ho scritta in un’unica settimana, in cui mi sono ritirato nella casa di montagna di mio zio, in mezzo al nulla. Non c’era proprio niente, intorno, per cui le opzioni erano scrivere, oppure scrivere. Però dipende da come vi sentite, e dalla grandezza del libro.
Quando ha iniziato a scrivere?
Ho iniziato seriamente, con l’idea di pubblicare, verso i diciassette, diciotto anni. A diciotto ho scritto il mio primo romanzo e, appena finito, l’ho buttato via; così è stato per altri quattro, che erano ancora acerbi. Pian piano, affinando la tecnica, trovando una storia interessante, ce l’ho fatta. Avevo ventisei anni quando ho pubblicato il primo… è stata una lunga gavetta.
Che scrittori le piacciono?
Ammiro diverso scrittori, uno in particolare lo considero come “il mio fratello maggiore narrativo”: Marco Mancassola; ha quarant’anni e ora vive a Londra. È bravissimo e mi dà un grande impulso a migliorare lo stile, a non dare mai per scontato nulla, a cercare la parola giusta; i suoi libri sono stilisticamente perfetti.
Quando sceglie il titolo?
In genere, il titolo arriva un po’ a metà strada. E non è quasi mai quello definitivo, perché la storia mentre viene scritta cambia, oppure l’editore vuole mettere la parola perché quello scelto fa poca presa. Il il titolo originale del mio ultimo libro, Per legge superiore, era “Armi leggere”, ma l’editore l’ha cambiato perché era difficile da capire al volo; quello finale piaceva a entrambi. Un bravo editore è soprattutto quello che ti dà una mano a migliorare storia, perché serve un occhio esterno, e non succede mai che un libro entri in una casa editrice e ne esca uguale. È un po’ come quando si fanno i compiti e ci si aiuta a vicenda. Fa piacere, è vero, quando ti dicono che il tuo libro è praticamente perfetto: ma non è mai vero, c’è sempre da lavorarci ancora su. Dovete mettere in conto che, quando cercate di pubblicare un libro, ci saranno tanti rifiuti, per vari motivi. Niente è mai scontato.
Leggeva tanto da piccolo?
Ho iniziato leggendo fumetti; quanto ai libri, la passione vera mi è venuta a partire dai quattordici o quindici anni. I fumetti sono ottimi per imparare a raccontare storie. Sono cresciuto in una casa piena di libri e cd, però all’inizio non mi interessavano molto, non mi stimolavano più di tanto. Poi mi sono appassionato sempre di più, sono diventato un lettore “forte” e, tuttora leggo parecchio: perché continuo a pensare che sia bello, e anche importante per il mestiere che faccio. È come l’allenamento nello sport: scrivere è giocare la partita, dopo un lungo allenamento.
A quale genere appartengono i suoi libri?
Non mi piace l’idea di “genere”. Mi piacciono i libri che non si riesce facilmente a incasellarli. Quest’ultimo, Per legge superiore, ha qualcosina del giallo, ma il punto centrale è la domanda “che cos’è la giustizia”, non “chi è il colpevole”. La domanda sottostante il mio primo libro, Buoni propositi per l’anno nuovo, invece, era: è possibile un’amicizia che si sfiora per un istante, una sera, e poi si perde? Eccetera.
Fa delle ricerche prima di scrivere?
Il lavoro di ricerca prima di scrivere un libro è importantissimo, anche se dipende dalla storia. Se, ad esempio, l’ambientate nella Francia degli anni ’30, è diverso rispetto al paese in cui siete cresciuti; una storia inventata non può prescindere da elementi reali. Di solito, io inizio a scrivere e poi faccio “un’iniezione” di ciò che ho studiato.
Ci rimane male quando un libro viene rifiutato?
Ci rimango malissimo con i rifiuti, i due “due di picche” sono sempre brutti. Soprattutto se credi molto in una casa editrice, finisce che ti fai delle domande sul valore del tuo lavoro, se vale la pensa continuare… Quando mi succede, faccio un esame di coscienza e, a volte, mi accorgo che magari la mia storia davvero non va bene. Se, invece, sono convinto, persevero finché (se tutto va bene) non ce la faccio.
Io voglio diventare fumettista. Quali personaggi prendono di più i suoi lettori? (ragazza)
Non ho una fascia di lettori. Dipende dai personaggi, ma in generale il punto di partenza è raccontare una storia che davvero per te è importante, senza chiedersi quali lettori avrai. Se non riesci a dormire la notte a causa della storia che hai in testa è un buon segno, significa che la devi proprio scrivere; qualcuno capirà la tua ispirazione e la tua sincerità. Troverai sempre dei lettori, se la storia è bella.
Ci vuole pazienza?
Oh! La gioia e la bellezza di scrivere sono enormi, ma nel tragitto dalla prima all’ultima pagina ci sono grandi momenti di scoramento, giornate in cui non ti esce niente o in cui quello che scrivi è brutto. Allora mi alzo e faccio altro. Altre volte, la storia è a un punto di snodo e i personaggi ti danno indicazioni diverse, per cui non sai più dove andare. La peggiore cosa, infine, è quando finisci tutto e pensi che fa schifo. Ma succede a tutti!
Fa la scaletta?
Non ho una regola precisa sulla scaletta. Per alcuni libri, sapevo come iniziare e come finire; mentre scrivevo il primo, non sapevo nulla sul finale, durante l’ultimo avevo solo una vaga idea della storia. Si inizia a scrivere con un’idea o con un bel personaggio. Vi faccio un esempio pratico, parlando di un’idea che ho in testa da qualche tempo: ho immaginato due giocatori di scacchi negli anni’ 30, a Marsiglia; iniziano a giocare che hanno sedici anni, e finiscono a cinquanta. Mi piace molto uno dei due personaggi e deciso che l’altro sarà il narratore: è già una partenza. Ho scritto dieci pagine, ho trovato la voce narrante e il tiro giusto, ora inizio a pensare: cosa faranno i personaggi? Iniziano a Marsiglia, poi vanno a Parigi… ma chi incontreranno? Ci sarà la guerra, uno di loro diventerà un collaborazionista, mentre l’altro entrerà nella Resistenza. Scrivendo, la scaletta pensata all’inizio cambia di converso.
Le storie troppo intricate sono brutte?
Mi piacciono le storie chiare, anche se sono molto complesse. Molti esordienti sbagliano nei due sensi: o scrivono la storia della loro vita, e non succede niente di particolare per tutta il tempo, oppure inventano una storia eclatante, ma quasi ridicola perché piena all’eccesso di colpi di scena. Imparando, trovi la tua voce e le storie arrivano in modo naturale. Cerchi, semplicemente, di fare un buon lavoro, senza mai annoiare il lettore (perché è una cosa atroce!).
È più facile essere pubblicati dagli editori piccoli o grandi?
I piccoli editori, magari, hanno più attenzione per gli scrittori non famosissimi, giovani o esordienti, ma è soprattutto l’attenzione alla linea editoriale che conta, al di là della grandezza.
Scrive a mano o al computer?
Sempre a computer perché così riesco a scrivere molto velocemente e andare al passo con i pensieri. Quando sono in giro, però, ho sempre dietro un taccuino (sulla metropolitana, sul tram ecc.) per prendere appunti. A mano però sono lento! Ho anche imparato a tenere il taccuino sul comodino, di fianco al letto, dopo anni che mi dimenticavo le idee notturne, al risveglio.
Ha mai scritto un libro autobiografico?
Non direttamente, però ci sono pezzettini di me in tutti i libri che ho scritto. Nell’ultimo, il protagonista è un giudice di sessantacinque anni e in lui c’è qualcosa del mio carattere, certi gesti, un umore o un modo di reagire alle cose. È inevitabile. Lo scrittore Andrea de Carlo racconta, invece, di non riuscire a fare personaggi antipatici!
Bisogna pagare per essere pubblicati?
Non si pubblica mai a pagamento, questa è una cosa importantissima. Se ve lo propongono, non fatelo mai, perché è una truffa. I libri non saranno distribuiti nelle librerie. È sbagliato, inoltre, il discorso in sé: sei tu che dai una storia all’editore e lui ci guadagnerà, insieme a te. Piuttosto aprite un blog e scrivete su internet, liberamente e gratis.
Scrive sempre quello che pensa?
Mi capita di scrivere cose che non penso. Anche se è più facile esprimere idee a cui ci si sente più vicini, è necessario fare anche personaggi anche antipatici. Bisogna fare tutto il necessario perché la storia vada a pennello.
Un libro paranormale, come inizierebbe? (ragazzo)
Bella domanda! Io scrivo storie molto realiste, mai pensato a cose del genere… mi cogli impreparato. L’unica cosa che mi viene in mente sarebbe di raccontare una storia dove diventino reali i personaggi di vecchie fiabe.
Quindi lo scrittore non guadagna niente?
Arrivi con libro dall’editore e lui, se è onesto, ti dice “ok, te lo pubblico”. Dopodiché, ti dà un anticipo sulle vendite che si spera avverranno, in più su ogni libro venduto hai una percentuale del sette. È poco, ma con i libri ci guadagnano tutti poco. Questa percentuale, moltiplicata “per tanto”, non è male, si riesce a guadagnare un po’. Su questo libro che ho in mano, ad esempio, dato che costa tredici euro io guadagno (mettiamo) circa un euro a copia; se ne vendi cinquemila, sono cinquemila euro… non è così male! Questo, in sintesi, è il meccanismo di guadagno per uno scrittore. L’anticipo viene poi scalato dalle copie vendute. Il prezzo lo sceglie l’editore, dipende dalla lunghezza del libro, dalla collana in cui sarà pubblicato, dal materiale di stampa, da tanti fattori insomma. In genere, si spera che non costi troppi così il lettore è più invogliato a comprarlo.
Cosa succede, dopo che l’editore ha deciso di pubblicarti?
Dopo che l’editore ha deciso, manda i venditori nelle librerie con un catalogo delle proposte editoriali e chiede alle librerie quante copie pensano di ordinarne. Su questo, fa il conteggio delle copie ordinate e ne aggiunge sempre un po’ di più. Segue l’ordine effettivo, poi i libri arrivano in libreria e il lettore li compra. Quelli che restano invenduti, vengono rispediti all’editore e spesso entrano nel mercato della seconda mano o vanno al macero.
Oooh! (ragazzi)
Sì, avete ragione, è una fine orrenda.
Sapete ogni anno, in Italia, quanti libri nuovi vengono stampati? (Giorgio)
Milioni! (ragazzi)
No, cinquantacinquemila! (Giorgio) Di questi, circa il novanta percento non arriva quasi in libreria, un po’ come finire nella casella della “prigione” nel Monopoli. Gli editori sono sempre di più, ma c’è da chiedersi perché, non è un lavoro facile. Mentre i grandi editori, continuano a pubblicare tanto, pensando così di guadagnare di più, ma è una follia. Ora si sta un po’ placando, anche se per loro investire è una questione di priorità.
Il prezzo allora dipende dal numero delle pagine?
Il costo non dipende solo dal numero di pagine, ma comunque incide.
I libri sono venduti alle biblioteche?
Sui libri per le biblioteche non si guadagna niente, ma è giusto così. Ricevono alcune copie dall’editore, una viene sempre mandata a Firenze e un’altra a Roma, alla Biblioteca Nazionale (è obbligatorio). Le biblioteche locali, d’altra parte, assorbono tutto quello che viene stampato in un determinato posto. È un diritto leggere gratis!
Quindi uno che di professione fa lo scrittore è quasi povero?
Fondamentalmente, o sei pazzo, oppure sai che ce la farai, se decidi di fare solo lo scrittore. Ogni libro, allora, diventa il tuo stipendio, e magari sei a posto per un anno. Bisogna decidere la vita che si vuole fare, è sempre una scelta molto rischiosa ed è così solo per pochissimi.
Ma davvero i libri invenduti vanno al macero?
Alcune copie vanno al macero, altre alle biblioteche, ma non tutte le vogliono, devono fare delle scelte. Provi anche a rivenderle nell’usato, ma finisce che qualche copia venga comunque macerata.
Se uno scrittore sul lastrico fa un ultimo libro per avere fortuna, può farlo stampare a tutti gli editori o no?
No, puoi scegliere un solo editore, a cui cedi tuoi diritti. Se un libro è destinato a vendere, lo farà, semplicemente perché è bello. Solo per i “classici”, succede che ci siano varie edizioni… E poi, come fai a pagare i diritti a Omero?
C’è una casa editrice che preferisce?
Fra le grandi direi Einaudi, naturalmente Sellerio, e Adelphi. Ci sono, poi, tanti editori più piccoli che stimo molto; è bello curiosare tra gli indipendenti, che osano di più. In genere, però, guardo più ai libri che all’editore.
Si fa un contratto con l’editore?
Sì, firmo un contratto in cui sono specificati la cessione dei diritti d’autore, il numero minimo di copie che saranno stampate, la percentuale di guadagno su quelle vendute, quando uscirà il libro… tutti i dettagli tecnici ed economici.
È fiero di essere uno scrittore?
Quando mi sento dire che “sono uno scrittore”, penso che è quello che ho sempre voluto fare: è un sogno che si avvera. Però non la vivo come una come una situazione statica, bensì come un impulso a lavorare duramente, per essere ancora più bravo, trovare storie sempre più belle. Questo perché penso che, per fortuna, sono arrivato ad essere qui e, siccome ho trovato dei lettori, allora il mio unico dovere è dar loro delle buone storie. Non mi sento “fiero”. Sono più fiero quando mi comporto bene nella vita; però mi rende felice vedere il risultato del mio lavoro. E’ un po’ una questione di identità, come avere i capelli castani o un maglione blu. Non mi sento fiero, sono semplicemente me stesso.
Quanto tempo ci vuole per pubblicare?
Da quando consegni il tuo libro all’editore, il tempo dipende da quanto gli piace. Almeno tre o quattro mesi. Per il primo libro, è passato un anno e mezzo, è stata lunga. Per l’ultimo, invece, ci sono voluti solo cinque mesi, che è pochissimo. Bisogna lavorare al libro con l’editore, stampare le bozze, verificarle, correggere gli errori e poi c’è il tempo materiale per stampare e mandare le copie nelle librerie.
Ha fatto solo libri cartacei o anche online?
Quest’ultimo c’è anche online ma i prezzi degli eBook sono ancora molto alti. Ora l’editoria si sta spostando sull’elettronica, ma c’è ancora molta paura a fare dei prezzi adeguati. Ad oggi la carta resta il supporto migliore, anche se è bellissimo usare il tablet, l’iPhone e vedere come cambiano le cose. A mio parere, il fumetto o la rivista sull’iPad sono bellissimi, hanno colori vivaci e la possibilità di ingrandire l’immagine: in questo caso, è un supporto che rende bene. Siamo in un mondo che sta cambiando alla velocità della luce.
Scrive mai più libri insieme?
Mi capita spesso di iniziare due o tre libri contemporaneamente, perché ho sempre tante idee che mi girano in testa. Nella mia testa c’è una specie di golfo privato dove faccio girare più barchette, finché una non prende il largo e quello è il romanzo che porto fino alla fine. Così faccio lavorare diversi scomparti del cervello.
Ci consiglia di leggere uno dei suoi libri?
Ma sì, vi consiglio l’ultimo libro, che non è difficile e potrebbe piacervi. É ambientato a Milano, proprio in queste zone in cui siamo adesso (via Padova e dintorni)… magari trovate spazi di città che frequentate. E poi la domanda sottostate la storia è importante: fino a che punto possiamo spenderci per la causa giusta?
Quanto ha guadagnato con l’ultimo libro?
Eh, bisogna aspettare i rendiconti!
Parte sempre dall’inizio della storia a scrivere?
Mi è capitato di partire da una scena che poi finisce a metà libro, la scrivo d’un fiato e poi, tentacolo dopo tentacolo, il libro si costruisce intorno, dall’inizio alla fine. Spesso scrivo, e tengo lì. È un lavoro che ha un po’ del mosaico, ma dipende molto dalla struttura del libro. La bottega di lavoro di uno scrittore è come quella di un artigiano del 1800, un caos, con trucioli per terra, gli strumenti in giro, un po’ di anarchia. L’importante è che la storia venga fuori.
Le è mai capitato di scrivere tre libri che a un certo punto si intrecciano?
No, però mi è capitato di scrivere un libro e pensarne un altro, per poi capire che il secondo sarebbe stato parte del primo. Capitano storie diverse che si congiungono, piccole epifanie. Quando scrivete, fate sempre passare una notte prima di rileggere, per capire se va bene o no quello che avete fatto.
Bisogna finirle per forza le storie?
Le storie devono finire, altrimenti il lettore si sente fregato. Vanno sempre chiuse. E’ il loro destino.