I bambini della 3ª E dell’Istituto Borsi intervistano Giorgio Fontana, ospite del laboratorio della Grande Fabbrica delle Parole.
Le illustrazioni sono di Désirée Gedda.
Come inizia un libro?
Il momento in cui viene l’idea è il più difficile da raccontare. Te ne accorgi quando hai già cominciato a scrivere. Ci pensi, strutturi i personaggi, valuti i dialoghi. In questo momento puoi anche buttare molte pagine che non funzionano. Finito il lavoro devi rileggere e riscrivere, perché è quasi impossibile che la prima volta esca un lavoro soddisfacente. Devi rientrare nella storia e correggere cose che non sono coerenti. Magari a pag. 5 un personaggio fa una cosa e a pag. 40 ne fa un’altra e si contraddice. Questo è un lavoro pallosissimo, devi affrontare i tuoi stessi errori e le tue mediocrità. Poi arriva il momento in cui la storia deve essere pubblicata, e inizia un’altra fase. Cominci a lavorare insieme all’editore, pensate insieme titolo e copertina, magari quello che hai pensato non è accattivante. A volte sono battaglie.
Chi vince?
L’editore quasi sempre. Poi se è civile si dialoga e quindi ti fa delle proposte. Per il libro Novalis mi piaceva un illustratore e fotografo americano, Travis Smith, che ha fatto anche copertine di dischi molto cupe e scure. Così ho pensato di provare a contattarlo e prima di tutto di chiedere il prezzo per un suo lavoro. Perché a fare gli scrittori non solo non si diventa ricchi, ma non ci si campa nemmeno. Approfondiremo dopo… Invece per l’editore Sellerio mi ha proposto un titolo e una copertina che per me erano perfetti, sono stato molto fortunato in questo caso. Inoltre il loro formato base è funziona sempre, è davvero elegante. La cosa interessante a questo punto è quante copie stampare, l’agente dell’editore va nelle librerie e descrive, presenta il libro. Quindi con l’ipotesi del numero di copie che si potrebbero distribuire alle librerie, ad esempio 3.000, se ne aggiungono un po’ e se ne stampano diciamo 5.000. A questo punto le copie sono in libreria e lo scrittore è preso da un’ansia tremenda.
Si stampano due volte o una sola?
Quando sono tutti esauriti si fa una ristampa, più o meno di 1.000 copie. Può succedere che uno vinca un premio, o sia invitato in tv… In questi casi il libro vende di più e quasi sicuramente ci sarà una ristampa. E viene scritto in copertina perché è un pregio (se leggete ristampa, lo scrittore si è sentito figo).
Cosa prova uno scrittore quando entra in libreria e vede il proprio libro tra gli altri?
Come dicevo sopra, a me viene un’ansia pazzesca.
Anche a me viene un’ansia pazzesca quando devo essere interrogato!
Sì, bravo, è la stessa cosa. Perché ti senti giudicato. Hai l’ansia da prestazione, ti vengono i pensieri più neri: sarà un disastro, non piacerà a nessuno. Però ad esempio ci sono dei miei colleghi che vivono questo momento con un altro animo, vanno in libreria e toccano estasiati le pile di loro libri, oppure fanno delle foto.
C’è una quantità di persone che scrivono, anche se non l’hanno mai fatto prima, anzi hanno fatto tutt’altrove un giorno si improvvisano scrittori senza preparazione e dote. Che ne pensi?
Il mondo del libro e della cultura in verità non si posiziona in alto, in un luogo a cui non ci si può avvicinare, con cui non si può dialogare e appannaggio solo di massimi talenti. La scrittura è un bello spazio da abitare, uno spazio interessante. Bisogna evitare di parlare troppo di talento, la capacità è questione di duro lavoro appassionato. Credo ci siano tanti scrittori appassionati della mia età e con più talento di me. Ma io mi sono fatto un mazzo tanto, ho fatto molta fatica, e quindi va bene così. Comunque, tornando alla domanda, farò un esempio con un calciatore. E mettiamo le cose in chiaro: io sono interista.
Allora mi sei simpatico.
Se leggo che Milito ha scritto un romanzo, sicuramente non lo leggerò. Penserò che sarà una ciofeca. Diciamo che preferisco quando segna… Mettersi davanti alla pagina bianca fa paura, inizialmente pensi che faccia tutto schifo quello che hai scritto. Sono problemi quotidiani. Bisogna sempre ricominciare da capo. Questo è l’unico grosso impedimento allo scrivere. Gli scrittori dovrebbero essere più umili in questo. Bisogna accettare che nella scrittura non ci sia sempre l’ispirazione a guidare, tutto il contrario. È molto faticoso. E sei da solo. Anche suonare, altra cosa che mi piace fare molto, richiede dedizione, tempo e passione. A differenza della scrittura però, si fa insieme. Invece l’idea di chiudere una porta dietro di te e stare da solo è una cosa che va affrontata.
Quando scrivi la musica ti può aiutare?
Se scrivo un articolo ascolto musica ma molto pacata, evito per esempio di mettere su del punk. Invece se scrivo un libro non ascolto musica, non mi fa concentrare. Ma conosco amici scrittori che scrivono solo ascoltando musica. Comunque dipende dalla situazione.
La cosa più difficile secondo me è l’introduzione.
L’inizio è proprio la cosa più difficile, non ci sono regole o trucchi come per il resto in cui magari ci sono delle strutture da seguire. Ma buttare giù delle idee su come si potrebbe iniziare è utile. Esempio: come può partire una storia di un fruttivendolo sui navigli (al mattino presto scende dai fornitori. No, troppo banale. Oppure: gli rubano una cassetta. No, troppo banale anche questo. Etc..) poi arriva l’inizio giusto. Andare per tentativi è il mio modo, ma ne esistono anche altri. E se l’inizio non arriva mai, forse non è la storia giusta.
E la fine?
La fine è un altro grosso problema. Per scrivere Per leggere superiore ho fatto una scaletta per vedere come stava andando la trama. L’unico consiglio che posso dare è che una volta arrivati alla fine, quando tutto converge, tutto sta arrivando al gran finale, chessò, il protagonista muore o si sposa o trova il lavoro sperato, beh bisogna affrettare; ovvero evitare di disperdere l’attenzione. Se un lettore vi ha seguiti fino a quel punto vuole la ciccia. Verso il finale il ritmo deve accelerare, le fila devono essere tirate in fretta. Io preferisco essere incisivo. Uso ancora un esempio del calcio: arrivato sotto la porta devi tirare, prima che ti assalgano tutti i difensori.
Di che cosa scrivi, di cosa ti interessi?
I miei libri sono tutti uno diverso dall’altro. Non amo per nulla gli scrittori che scrivono sempre sugli stessi temi, o solo un genere, per esempio solo gialli, o hanno sempre lo stesso protagonista. Il mio primo romanzo è una storia d’amicizia ambientata fra la Francia e l’Italia. La storia di Novalis è una storia violenta, cupa, metropolitana ancora con un protagonista giovane. Invece nell’altro libro che vi ho portato oggi, Per legge superiore, il protagonista è un giudice di 60 anni, e mi sono dovuto mettere nei panni di un uomo con il doppio della mia età, anche se, essendo vecchio dentro non ho avuto molte difficoltà. Il prossimo sarà sempre nello stesso universo narrativo. Infatti scrivo di un magistrato e di suo padre che era un partigiano. Quindi tratto del rapporto padre – figlio, calato nella storia italiana. Un lavoraccio anche solo per fare tutte le ricerche storiche. Terminato Per legge superiore mi era tuttavia rimasta qualcosa da scrivere, di questi personaggi. Continuavo a pensarci. Quindi ne ho scritto in un altro libro. Appena finisci di scrivere un libro sei svuotato. Ora sono nella fase delle ultime correzioni e sono stanchissimo; per un po’ non scriverò più nulla.
Quando avevi 14 anni cosa pensavi di fare?
Non pensavo di fare lo scrittore, non ne avevo la minima idea. Verso i 16 – 17 anni ho cominciato a scrivere cose bruttissime poi è iniziato il duro lavoro.
Cosa facevi alla nostra età?
Mah. Nulla di particolare.
Eri bravo a scuola?
Sì, ero abbastanza bravo.
Dove vivevi?
Vivevo 20 km a nord di Milano, vicino a Saronno, un posto inutile. Mi sarebbe molto piaciuto vivere a Milano. Facevo una vita ordinaria, andavo a scuola, giocavo a pallone (da terzino sinistro, ma non avevo i piedi), ascoltavo musica. Cercavo di capire cosa mi piacesse fare.
Che musica ascolti?
Ascolto tanta musica diversa, con il mio gruppo facevo hard-rock metal, poi ascoltavo cantautori americani, jazz, classica. Ma la mia formazione è il metal.
Quanti anni avevi quando è uscito il tuo primo libro?
25 – 26, ma l’ho scritto quando avevo 22 anni, ho dovuto aspettare parecchio.
Che libro era?
Si intitolava: Buoni propositi per l’anno nuovo.
Quanti libri ha scritto?
Ne ho pubblicati 5, con quello che uscirà in aprile 6, ma prima di aver pubblicato il primo ne avevo scritti altri 4 che facevano proprio schifo, infatti li ho buttati. il primo l’ho scritto che avevo 18 anni. Ho imparato a scrivere scrivendo. Non penso di avere un particolare talento, ancora cerco di migliorare. Non si finisce mai.
Hai mai copiato?
No, non ho mai copiato ma è inevitabile che si assorbano delle cose quando trovi un artista che ti piace. Ma è importante trovare la propria voce, il proprio stile. E lo si fa anche mettendo insieme tante influenze.Se trovo qualcuno che mi piace davvero tanto in verità l’unico sentimento è l’invidia (penso: ma va’ quanto sei bravo…Maledetto…)
Hai mai pensato di andare in altri paesi?
Penso di non essere capace di scrivere in un’altra lingua. Anche se per lavoro lo faccio spesso scrivendo di cose che non riguardano per nulla le mie storie. Già, il lavoro… La vita dello scrittore non è per nulla rock and roll come ci si aspetterebbe. Però il mio ultimo libro è stato tradotto in tedesco, francese e olandese. È strano vedere la propria storia in una lingua che non conosci affatto. Devi fidarti del traduttore. Ed è strano che la leggano in un paese diverso, che non conosce tanti dettagli che tu hai dato per scontato (per esempio che non sa nulla di Milano, o come possa essere via Padova, dove appunto è ambientato il romanzo) è bello vedere le reazioni, cosa riescono a trarne. Sono andato in Germania questo autunno a presentarlo con un traduttore che mi seguiva, è stato molto interessante.
Come è la vita di uno scrittore? Stai chiuso in casa a pensare?
Quello sarebbe l’ideale. Svegliarsi, fare colazione, e mettersi a scrivere. Ma non è così, io come tutti gli altri vado a lavoro, in un’agenzia di software e lavoro tutto il giorno, scrivo la sera il sabato e la domenica. È un notevole sbattimento. Soprattutto se sei stanco e hai poco tempo. Conosco colleghi scrittori che scrivono e basta, ma ce ne sono veramente pochi. Magari sono riusciti ad entrare nel sistema editoriale quando giravano più soldi, o hanno collaborazioni fisse con giornali. Quando torno a casa mi sento un po’ con una maledetta doppia esistenza, tra Clark Kent e Superman. Insomma, la vita dello scrittore è molto simile alle altre, forse è diverso l’atteggiamento. Per esempio, quando passeggi fai attenzione ai dettagli e soprattutto continui a pensare a quello che stai scrivendo. Quando scrivi un libro non sei libero, l’argomento su cui scrivi ti perseguita. In America ci sono forme di sostegno a chi scrive, per esempio corsi di scrittura da tenere che sono un bel lavoro alternativo a quello di ufficio, ci sono delle residenze per scrittori, posti ideali per scrivere nel silenzio e nella tranquillità in luoghi remoti. Quello in cui sono stato io era nel nulla in mezzo alle foreste, a 2 ore da New York, due case in mezzo ai boschi su una collinetta. Dopo due settimane rischi di diventare un serial killer. Di positivo c’è che sei molto concentrato e se hai delle cose da scrivere è molto utile, io per esempio facevo lunghe passeggiate nei boschi. La sera cenavamo tutti insieme, e ci si chiedeva oggi come è andata, quante pagine hai scritto. Dovrebbe essere sempre così. Ma purtroppo…
Scrivi su computer o su carta?
Io scrivo sempre e solo su computer, però quando sono in giro mi porto sempre dei fogli in blocchetto, scrivo le impressioni. L’idea di scrivere un intero romanzo a mano mi fa venire da piangere. L’idea di correggere le cose a mano mi fa disperare. E poi scrivendo a computer sono più veloce. Comunque a me piace molto passeggiare e guardare la città, mi aiuta anche nella descrizione delle ambientazioni urbane.
Io scrivo storie al cellulare, sulle note… anche di 37 pagine.
Che cosa interessante. Ti va di leggerle?
(Le compagne che sanno bene di cosa si stia parlando, rispondono in coro sorridendo: No, non si può!)
Ma come fai? Io ho un cellulare del ’32, non potrei mai! È quello lì, appoggiato sul tavolo.
Hai il cellulare come quello di mio nonno!
Comunque qualsiasi cosa va bene per scrivere.
Quante righe di massimo scrivi?
Non lo so; non le conto, dipende molto dalla giornata. Ci sono scrittori che si dicono: devo scrivere almeno una pagina al giorno. Ma io non sono così.
Una risposta a “Lo scrittore si racconta: intervista a Giorgio Fontana”
[…] Lo scrittore si racconta: Giorgio Fontana (23.1.014, blog de La Grande Fabbrica delle Parole) Intervista realizzata dai bambini della 3ª E dell’Istituto Borsi “Il mondo del libro e della cultura in verità non si posiziona in alto, in un luogo a cui non ci si può avvicinare, con cui non si può dialogare e appannaggio solo di massimi talenti. La scrittura è un bello spazio da abitare, uno spazio interessante…” […]