Emanuela Bussolati si racconta alla 4A di Casa del Sole. Fotografia di Thomas Pololi
Sono una autrice. Se non sapete come è fatta una autrice di testi e di figure: ha due occhi, un naso una bocca, due braccia e due piedi. E per una autrice avere due piedi è importantissimo. Perché con i piedi si può camminare alla ricerca delle storie. Le storie si raccontano con i piedi. Per questo, se qualcuno mi dicesse: “Emanuela, hai fatto questo lavoro con i piedi!” risponderei: “Bene!”. E ne sarei lusingata.
Le storie si raccolgono in giro qua e là. Non si possono raccontare solo con lo stomaco, se no si raccontano storie di frittata e di pollo e non si riesce ad andare molto più in là. Bisogna saper fotografare facce, suoni e situazioni.
È successo anche a voi, bambini, di vedere qualcosa di interessante meritevole di entrare in una storia?
A me a me! volte a me è successo! Ma non mi ricordo. (Bambino)
Poi incalzano le domande dei bambini.
Su che cosa hai avuto difficoltà? A scegliere quale personaggio?
Se mi viene un’idea per una storia, osservando qualcosa, poi mi chiedo sempre chi potrebbe avere una storia simile. Un libro? Un bambino? Un adulto? Un anziano? Un animale? A seconda della storia, viene istintivo scegliere il protagonista. Per esempio, se in un mercato passasse un extraterrestre che, vedendo le arance sul banco, dicesse “Ah, come sono lucidi questi bulloni” sarebbe sicuramente una storia strana, un po’ buffa, che fa ridere. Oppure, sempre in una storia buffa, potrebbero succedere dei malintesi come ad esempio che l’extraterrestre per salutare desse una sberla. Se volessi fare una storia triste, invece, farei passare dal mercato un mendicante che vive in strada, affamato ma senza soldi per comprare. E poi magari qualcuno lo capirebbe e…
Come inizi?
C’era una volta…
Vi leggo il mio libro Tararì tararera. Sono sicura che questa storia, anche se è un po’ strana, voi la capirete. Perché in questo libro la figura è il racconto.
Tu fai libri per bambini o libri per grandi?
Sempre per bambini di solito per bambini da 0 a 6 anni. E poi li illustro.
Come facevi a sapere le parole senza leggerlo prima il libro?
L’ho scritto io!
Qual è il primo libro che hai scritto?
È lontanissimo, un libro che ho scritto per mia sorella: l’avevo scritto su un quaderno e raccontava di un signore che sognava e i suoi sogni poi diventavano sempre veri; ogni tanto andavano bene, ogni tanto no. Anche perché i sogni possono essere logici ma anche illogici, come per esempio quando si sogna di camminare a due dita da terra, fluttuando. Allora, la faccenda può diventare problematica.
Quando hai iniziato a scrivere?
Prima di scriverle le storie si raccontano. Da grandi si legge nella propria testa ma da piccoli è bello ascoltarle. Le storie non raccontate bene si impicciano e inciampano. Per questo, ho cominciato prima a raccontare le storie, poi a scriverle. Raccontandole le rendevo fluide, potevo cambiare alcune parole che non funzionavano, parole che non scivolavano nel modo giusto. Invece, scrivendo, le parole sono congelate.
Come pensi di continuare ad andare avanti? Vuoi scrivere altre storie?
Le storie si acciuffano. Erich Kastner è uno scrittore tedesco che ha scritto durante e dopo la seconda guerra mondiale, in situazioni difficili. Per campare e guadagnare insegnava di giorno e scriveva di notte: scrivere era la sua passione notturna. Nel suo libro La classe volante ha immaginato che la sua classe un giorno si alzasse in volo, come se il tappetone su cui siete seduti cominciasse a fluttuare. A quel punto succederebbero delle cose, voi avreste delle reazioni, chi di attaccarsi di qua, chi di là. Quello che scrivo dipende da quale atmosfera voglio creare. Bisogna sempre decidere… era giorno o notte? Il maestro volava anche lui o stava giù? Le storie sono frutto di scelte.
Mi dici un titolo di un libro?
L’orto un giardino da gustare. Mi ha chiamata una casa editrice che si occupa di cibo, si chiama Slow Food e forse la conoscete per la chiocciolina dorata che potete trovare fuori dai ristoranti. Mi hanno chiesto di scrivere un libro sull’orto del palazzo reale di Torino. Io non lo conoscevo, quindi sono partita per andare a vederlo. Era una giornata freddissima e tutto era brinato, l’orto era azzurro. Sono salita sul tetto del castello e, tornando giù, ho visto delle finestre dipinte. Voi sapete che, per amore di simmetria per la facciata, un tempo si volevano tante finestre una vicina all’altra, ma molte erano solo dipinte (cosa che, tra l’altro, permetteva di appoggiare gli armadi all’interno). Mi sono chiesta: chi si può affacciare da una finestra dipinta?
Un bambino dipinto?
Allora ho pensato alla storia di una bambina di oggi, che aveva uno zio giardiniere addetto alla cura dei giardini del palazzo, e del suo amico immaginario settecentesco che viveva appunto nelle finestre dipinte.
Chi ti ha insegnato a scrivere?
Mio papà faceva l’ingegnere (un lavoro serio), ma quando tornava a casa si liberava della serietà e metteva in scena per noi spettacoli con le marionette. Era un rito: prima preparava il teatrino, poi le luci e i personaggi aggiunti da lui. E sempre, proprio quando stava per cominciare lo spettacolo, la mamma ci chiamava, perché era pronta la cena, e il nostro sconforto non serviva a nulla. Rimandavamo a dopo cena. Mi ricordo di una volta che aveva messo in scena L’uccellin belverde di Italo Calvino, che è bellissimo e diverso dalle solite fiabe che si raccontano sempre.
Il libro che ti è piaciuto di più scrivere?
Un libro che ho scritto in una maniera un po’ diversa. Il testo è di Roberto Piumini e si tratta di fiabe classiche raccontate però in filastrocca e cantilena. Io ho scritto le figure. I bambini piccoli leggono le figure e anche quello è un modo di leggere. Provate a leggere la mia faccia: annoiata, arrabbiata, felice. Vedete che sapete leggere benissimo? In tutto il mondo si capisce quando si sorride, perché le immagini raccontano tanto più delle parole. Ho scritto una figura per ogni verso della filastrocca; in questo caso ho usato un modo di scrivere che non è scrittura vera e propria. Devono essere dei disegni chiari, non alla Picasso i cui quadri esprimono delle idee ma sono difficili da leggere. Il teatrino del primo disegno è un omaggio a mio papà, che faceva gli spettacoli.
L’ultimo libro che hai scritto?
Non ce l’ho qui con me perché deve ancora uscire. Il penultimo è un libro di filastrocche tradizionali e ho scritto anche le immagini. Ma non l’ho inventato io, sono testi molto antichi che ho semplicemente riproposto. L’ultimo libro si intitola Ravanello cosa fai. Vorrei che i bambini imparassero e capissero che fanno parte della terra: siamo fatti di terra, come dice anche la Bibbia, e le molecole del nostro corpo sono le stesse molecole degli elementi che abbiamo intorno. Mi sono chiesta come far capire questa cosa ai bambini; a far loro comprendere che siamo vivi grazie alla terra e a quello che ci dà da mangiare: frutta, verdura, cereali.
Come esperienza, ho fatto loro coltivare dei ravanelli, la pianta più veloce a crescere (15, 20 giorni); però la cosa più difficile da imparare è l’attesa della crescita perché la tentazione è quella di tirare su in ogni momento le foglioline della pianta per vedere se c’è già la radice rossa. Ma secondo voi, se tiri i capelli a un bambino, cresce più in fretta? Per aiutarli a pazientare, quindi, ho scritto delle storie, una per ogni giorno di attesa. Dopo le mie venti storie, il ravanello dovrebbe essere cresciuto.
Tu adesso continui a scrivere o sei in pensione?
Gli scrittori non sono mai in pensione fino a che hanno delle idee.
Ci rileggi Tarari tararera? Ce lo leggi in cinese?
Ma è giapponese!
Ma dopo dobbiamo fare un lavoro su queste cose?
Che brutta la parola dovere…
Beh, sì, possiamo?
Secondo voi una storia si mette giù di botto e funziona subito? Di botto si mette l’idea ma l’idea cambia a seconda dei personaggi che si mettono in pista. Ad esempio, se io ho pensato a un bambino e la mia è una storia reale non posso fargli correre in quattro minuti quattro chilometri. Solo se è una storia magica posso farlo, contando però che anche in queste storie ci vuole una logica magica.
Pippi Calzelunghe fa quello che vuole!
In quella storia, Pippi è la bambina fuori pista rispetto ai suoi vicini di casa bene educati, precisi e ordinati. Quindi una bambina speciale: il papà è lontano e lei vive da sola; se non si rifugiasse nella sua fantasia, la vita sarebbe molto dura per lei. Se non lo fosse veramente, dovrebbe comunque immaginarsi di essere molto forte.
Vi racconto una storia sull’Unicef, associazione che va a vedere come è la situazione dei bambini in giro per il mondo. Una volta, gli operatori dell’Unicef in Mali videro scendere un bambino di tre anni dal treno, da solo, e poi sedersi in un angolino. Andarono, allora, da lui a chiedergli se avesse bisogno di qualcosa e il bambino rispose: “Io sono fortissimo”. Secondo voi era fortissimo? No! Ma doveva dirlo perché sapeva che doveva cavarsela da solo.
Anche queste cose si possono raccontare e si tratta di quelle storie che ogni tanto la vita inventa, spesso più interessanti di quelle che può inventarsi una persona.
Qual è il libro più grosso che hai scritto?
Forse è quello dell’orto, per il quale ho dovuto studiare un sacco: sugli animali dell’orto, sulla loro funzione, sulle verdure… Se io volessi raccontare una storia in un bosco, dovrei studiare il bosco. Non potrei certo raccontare che dei bambini mangiano delle bacche selvatiche se non fossi sicura che queste siano commestibili, altrimenti poi i bambini andrebbero nel bosco, mangerebbero le bacche e io sarei colpevole dei mal di pancia di quei bambini.
Quale libro hai scritto più velocemente?
Io sono una lumaca, sono lentissima.
A te piace anche leggere?
Moltissimo. Leggere serve a imparare a scrivere. Quando leggi una frase bella, che ti fa emozionare, impari molto.
Qual è il libro migliore che hai letto?
L’evoluzione di Calpurnia. Racconta di una ragazzina di fine ottocento che vive nella fazenda di cotone di suo papà e ha un nonno botanico, grande esperto di piante e grande lettore di Darwin, uno scienziato che proprio in quel periodo, primo tra gli scienziti, ipotizzò in modo diverso la storia dell’evoluzione umana. Tra l’altro aveva già scoperto che l’intelligenza degli alberi è nelle radici e che queste sono la mente degli alberi. Calpurnia ha tredici anni e dovrebbe smettere di studiare per diventare una brava donnina di casa e una moglie perbene, studiare pianoforte e imparare a cucire. Ma succedono cose diverse…
Secondo voi che differenza c’è tra i libri per ragazzi e libri per adulti? Chiede la scrittrice.
Quelli per adulti sono più complessi e spiegano più cose, esprimono cose da adulti. Quelli per bambini spiegano cose che vanno bene ai bambini. Hanno parole più semplici. (Bambini)
Per quanto riguarda i sentimenti proviamo le stesse cose: siamo felici sia da adulti sia da bambini. Semplicemente, la realtà è più complessa, così come i rapporti umani.
Quanti libri hai scritto?
Non molti, una decina. Ne ho illustrati molti di più.
Ma tu hai letto Le cronache di Narnia, o Zanna Bianca, o Il richiamo della foresta?
Certo che li ho letti, prendendoli di nascosto dalla biblioteca del nonno, perché ero piccola.
Avete un’ultima domanda? Chiede Emanuela.
Ci leggi ancora il libro Tararì tararera?