La Grande Fabbrica delle Parole è un laboratorio gratuito di scrittura creativa per scuole elementari e medie, aperto a tutti ma rivolto particolarmente ai bambini e ai ragazzi a rischio di marginalizzazione culturale.
A partire dal motto de La Grande Fabbrica delle Parole, abbiamo inaugurato una rubrica sull’accessibilità, in cui esplorare concretamente un mondo senza barriere fisiche, sociali e soprattutto culturali. Un luogo in cui a tutti i bambini e non solo sia garantito il diritto di espressione attraverso il gioco, la scrittura e la lettura. E lo faremo a partire dai contributi di persone che quel mondo l’hanno attraversato, ognuno a modo suo. Perché le parole sono per tutti, nessuno escluso.
L’articolo di questo mese è di Annalisa Brunelli che spiega come il gioco sia uno spazio libero, di curiosità ed esplorazione di sé e degli altri, strumento essenziale per la crescita e la strutturazione dell’identità: un diritto da garantire a tutti.
Vi aspettiamo il prossimo 10 giugno con l’ultimo contributo!
Gioco libera tutti!
Fra le attività praticate almeno qualche volta nel corso della vita, in qualsiasi parte del globo o in qualsiasi epoca storica ci si trovi possiamo senz’altro mettere il gioco in cima all’elenco. Ma il gioco, il giocare, è davvero accessibile a tutti? Permette una reale inclusione?
Gioco ed inclusione: se ci fermassimo al solo significato etimologico di queste parole potremmo rischiare di rimanere spaesati dall’apparente distanza che li caratterizza. Il termine inclusione rimanda all’azione di rinchiudere, chiudere dentro. Con il gioco, invece, ci spostiamo sul significato di scherzo, beffa, illusione. Qualcosa che diverge dalla realtà, la trasgredisce e quindi la reinterpreta.
Includere non può voler dire portare dentro uno spazio chiuso o determinato ma costruire legami che riconoscano la specificità e la differenza di identità. La politica inclusiva ci interroga sempre sui confini della nostra storia. “Inclusione – scrive il filosofo Jürgen Habermas – qui non significa accaparramento assimilatorio né chiusura contro il diverso. Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti”.
Tra le tante definizioni sul gioco riprendiamo due tra gli aggettivi utilizzati dal sociologo francese Roger Caillois: gioco come “attività libera” e gioco come “attività improduttiva”. Attività libera alla quale il giocatore non può essere costretto senza che il gioco perda il suo divertimento e la sua attrazione. Questo vuol dire che ognuno sta nel gioco in modo personale e non codificabile rigidamente. Attività improduttiva poiché, da un punto di vista “economico”, il bambino non gioca per portare un risultato ma arriva anche a dei “risultati”che sono nuove creazioni, atti di trasformazione di materiali e situazioni.
Quando parliamo di giochi inclusivi intendiamo giochi la cui ideazione si rifà a un’ottica di progettazione e realizzazione vicina alla progettazione for all o Universal Design.
Questo concetto nasce storicamente da un’attenzione alle problematiche connesse con la disabilità: lo si può far risalire alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso quando in Europa, in Giappone e negli Stati Uniti, rientrarono i veterani della Seconda Guerra Mondiale, in molti casi reduci con mutilazioni di vario genere.
Il termine “Universal Design” venne coniato nel 1985 dall’architetto Ronald Mace, colpito da poliomielite nel 1950 all’età di 9 anni. Egli definì l’Universal Design come “la progettazione di prodotti e ambienti utilizzabili da tutti, nella maggior estensione possibile, senza necessità di adattamenti o ausili speciali”.
I concetti di base a cui si fa riferimento partono dalla consapevolezza che non esiste il cittadino standard che fruisce in un’unica modalità ma diversi modi e possibilità di “usufruire” degli ambienti e delle occasioni. Che è come dire che alla base delle comunità non c’è l’omogeneità ma l’eterogeneità. Oggi assistiamo in molti contesti alla realizzazione di pratiche volte a progettare in maniera inclusiva gli spazi e gli ambienti, di modo che siano fruibili da tutti, superando anche la specifica distinzione evidenziata dalla formula “anche per persone disabili”.
Questo approccio inclusivo deve marcare anche il rapporto tra gioco e disabilità. Il gioco non è un’attività riabilitativa o riabilitante, è uno spazio libero, di curiosità ed esplorazione di sé e degli altri, strumento essenziale per la crescita e la strutturazione dell’identità.
Già la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sanciva il diritto al gioco, diritto che la più recente Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ribadisce enunciando “gli Stati Parti prenderanno le appropriate decisioni per assicurare che i bambini con disabilità abbiano eguale accesso alla partecipazione ad attività ludiche, ricreative e di tempo libero, sportive, incluse tutte quelle attività che fanno parte del sistema scolastico” (art. 30, comma d).
Giocare è un diritto riconosciuto ufficialmente a tutti i bambini, ma diventa un problema quando la difficoltà a muoversi o l’incapacità di vedere oppure ancora la scarsa capacità d’attenzione e concentrazione su di un compito, lo compromettono. Come per altre situazioni connotate da povertà, privazione culturale, marginalità sociale, la presenza di una disabilità può diventare motivo di esclusione dal gioco. La difficoltà di accesso, l’iperprotezione della famiglia, l’impossibilità a partecipare alle occasioni ricreative formali e informali nei territori: ecco alcuni dei molteplici fattori che ostacolano la traduzione concreta del diritto al gioco in una pratica quotidiana nella vita dei bambini con disabilità.
Studi ed esperienze recenti hanno evidenziato fra gli indicatori di accessibilità del gioco la polisensorialità, la modularità, la qualità nella scelta dei materiali e la bellezza dei prodotti finiti, ma determinante nella scelta dev’essere la fruibilità da parte di tutti i bambini: non giochi per qualcuno ma giochi condivisi, giochi per tutti.
Consigli di lettura:
1. Amorgioco, di Carlo Riva (Fatatrac, 2005)
2. Ausili fai da te, di Nicola Gencarelli (Erickson, 2012)
3. Impossibili possibilità , di Tatiana Vitali e altri (Erickson, 2013)
Annalisa Brunelli ha contribuito alla creazione del Centro Documentazione Handicap-Accaparlante di Bologna, dove lavora, occupandosi della biblioteca specializzata sui temi della diversità e della sezione ragazzi che raccoglie un migliaio di libri su temi complessi (diversità, malattia e morte, guerre, differenze di genere). Collabora al negozio on line Gog & Magog e alla gestione dello spazio di sperimentazione ad esso collegato.
Cura la rubrica di recensioni “L’occhio sullo scaffale” sulla rivista “Accaparlante” e sul sito.
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La Grande Fabbrica delle Parole è un laboratorio gratuito di scrittura creativa per bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie, primo in Italia a ispirarsi al modello 826 Valencia, scuola di scrittura no-profit creata dallo scrittore Dave Eggers e dall’educatrice Ninive Calegari. Dal 2009 a oggi più di 5000 bambini hanno partecipato gratuitamente ai nostri laboratori. Sostienici, donando il tuo 5×1000.