Anna Jannello: nei miei racconti le storie di popoli e paesi lontani



Anna Jannello, giornalista e scrittrice, intervistata dai ragazzi della 3C della scuola media di via San Gregorio racconta come usa parole per descrivere la realtà e portare ai suoi lettori storie solo apparentemente lontane.

Quando hai deciso di fare la giornalista?

La prima volta che ho pensato di fare la giornalista è stato in 3° media. La professoressa ci aveva dato un tema libero: io ho scritto una storia avventurosa dove immaginavo di essere la giornalista di un settimanale allora famoso “Epoca”. Poi gli anni sono passati, ho studiato Lingue, sono stata a fare uno stage a Bruxelles alla Commissione europea e lì mi è tornata in mente l’idea del giornalismo. Quando sono tornata a Milano ho fatto il primo biennio dell’Ifg, Istituto per formazione al giornalismo, e poi ho avuto la fortuna di lavorare per un grande giornale italiano, Panorama. Ora non vado tutti i giorni in redazione come prima, ma continuo a scrivere. Ho un blog, e scrivo per altri giornali.

Qual’è stato il tuo primo articolo?

Il mio primo articolo su Panorama è apparso nel novembre 1979 e si intitola “I pirati di Beirut”: racconta di come la pirateria infesta ancora il Mediterraneo. Ho scritto tantissimi articoli, come esempio ve ne ho portato uno che ho fatto nel 2002 a Dublino. Quando a gennaio 2002 molti paesi europei hanno adottato l’euro, Panorama mandò i suoi giornalisti nelle capitali europee dove si cominciava a usare la nuova moneta: dovevamo raccontare la vita di un abitante della città. Io andai a Dublino e intervistai un signore che lavorava in una società di informatica. Lo vedete qui nella foto.

Vi ho portato miei articoli usciti anche su altri giornali. Questo si chiama Terre di Mezzo, dove ho pubblicato reportage di viaggi che ho fatto, come questo sul Senegal. Un altro articolo, sempre su Terre di Mezzo, è questo scritto dopo un viaggio in Niger. Come giornalista mi sono quasi sempre occupata di Esteri, di quello che succede in tanti paesi del mondo. Qui invece mi vedete intervistata in un articolo di Repubblica sul turismo responsabile. E qui c’è un articolo di Epoca (che non ho scritto io) ma l’ho portato perché rappresenta bene il lavoro dei giornalisti. Vedete la foto? ci sono io con il registratore mentre intervisto un magistrato a Padova.

Come scegli le notizie?

A un giornalista viene chiesto di raccontare delle storie emblematiche, anche le vostre storie sono rappresentative: non raccontano solo di voi, ma anche di chi condivide con voi la vostra realtà. Anche voi quando fate un viaggio portatevi un quadernino per segnare le cose più interessanti. Quando non ero ancora giornalista rimasi colpita da un articolo che diceva che scrivere che c’è un bel tramonto non è una notizia, ma dire che le pere costano 150 lire al kg è una notizia. Questo perché il tramonto capita tutte le sere, lo raccontano molti scrittori con tante belle parole, ma non è una notizia. Invece il prezzo di una cosa può essere interessante da ricordare, dopo qualche anno è diverso e ci possiamo chiedere perché. Sul vostro taccuino potete anche disegnare, appiccicare foto, scontrini o ricordi. Un mio amico in ogni viaggio che fa si porta un quaderno e attacca qualsiasi cosa, anche le carte di caramelle, tutti piccoli ricordi che rendono il sapore del viaggio.

Scrivere sui giornali è come scrivere sui libri?

La scrittura narrativa e giornalistica hanno sicuramente in comune una parte di ricerca e documentazione riguardo alla storia che si vuole raccontare.

Che libri scrivi?

Reportage, storie ispirate da fatti veri: essendo una giornalista quando vado in un posto mi piace descrivere cosa succede, intervistare le persone importanti in quella situazione. Poi scrivo anche io con uno stile narrativo, ma sopratutto cerco di far riflettere raccontando storie reali

Qual’è il primo libro che hai scritto?

Il mio primo libro l’ho scritto dopo un viaggio in Senegal, un viaggio di turismo responsabile (che significa cercare di condividere la vita delle popolazioni locali che si incontrano). In Senegal sono stata ospite di alcune famiglie, nel libro ho raccontato anche la storia di queste famiglie. Ho scrittoanche un libro con altri autori: si chiama “La mia prima bicicletta” e vi hanno partecipato persone come Margherita Hack o Paolo Rumiz… L’editore Ediciclo ha pensato di chiedere una testimonianza breve su qual’era stata la prima bicicletta, le pubblicava su un blog, poi sono state raccolte in questo libro presentato al Festival della letteratura a Mantova. Sono stata molto contenta di partecipare perché parte del ricavato delle vendite è andato in Africa, in Burkina Faso, per finanziare l’acquisto di biciclette. Così delle mamme adesso possono accompagnare a scuola i loro bambini che, per qualche malattia, non possono camminare.

Quanto ci metti a scrivere un libro?

Dipende: La grande casa di monsieur Diallò l’ho scritto di notte partendo dal mio diario di viaggio, mentre di giorno lavoravo in redazione. La musica del deserto l’ho scritto in due mesi e mezzo, la primavera scorsa mentre ero in cassa integrazione, e mi ha richiesto un po’ più di tempo per documentarmi.

Da cosa prendi spunto per scrivere?

Dall’osservazione della realtà.

E come sai che le cose che scrivi piaceranno?

Non me ne preoccupo, scrivo delle cose che a me sembrano interessanti

Ti è mai capitato di litigare con l’editore?

Con l’editore no, ma con i miei capi al giornale sì, si discuteva spesso.

Accetti consigli dagli altri?

Sì certo è importantissimo.

Quale processo di scrittura segui?

Scrivo al computer, per quest’ultimo libro avevo creato un file e l’avevo chiamato più avanti se mi veniva in mente un’idea per i capitoli successivi la annotavo lì. Lavoro in una maniera molto giornalistica, prima di scrivere mi documento molto. Poi cerco di riassumere, interpretare, dare un filo logico e scrivere con uno stile che sia attraente.

Perché hai voluto diventare giornalista e non scrittrice?

Non sono due cose distinte, molti scrittori sono giornalisti e viceversa.

Se non avessi fatto la giornalista-scrittrice cosa avresti fatto?

Non so, mio papà era medico, magari avrei potuto diventare dottore o fare la ricercatrice. Anche per capire che cosa ha un malato bisogna saper fare molte domande.

La città di Milano ti ha mai ispirata?

Milano ha ispirato molti scrittori, è una città che stimola la fantasia. In città succedono tante cose, ci si può chiedere cosa ci sta dietro. Anche nei libri che avete già studiato, ad esempio i Promessi Sposi, si parla di Milano: il Lazzaretto è proprio vicino alla vostra scuola. Sarebbe interessante documentare come era Milano ai tempi dei Promessi Sposi. È interessante vedere le storie della città, c’è tanto da scoprire: una stratificazione di storie impressionante.

Ci hai raccontato che hai fatto molte interviste, usi un traduttore?

No perché ho studiato lingue, il che mi ha aiutato molto nel mio lavoro. Ho lavorato anche all’Ansa a Bruxelles, dove si parla francese o inglese. Ho fatto anche delle interviste in portoghese con un po’ di latino, spagnolo…alla fine ci si riesce a capire.

Come è cambiato il modo di scrivere con l’avvento di Internet?

Ho cominciato a lavorare quando non c’erano cellulari e non c’era Internet, c’era il telex, una telescrivente per mandare le notizie dall’estero in redazione. Era più difficile ma anche più divertente, non avevi la pappa pronta come adesso che fai “clic” su Google e trovi quasi tutto. La Mondadori aveva un grande centro di documentazione in aiuto ai giornalisti, ora è stato molto ridotto. Poi una volta gli articoli erano più lunghi, con meno fotografie, si dava più importanza allo scritto. Il primo computer l’abbiamo avuto nel 1988, per i primi 10 anni di professione ho scritto a macchina.



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