Daniela Palumbo. Intervista e controintervista



I ragazzi della 2D di via Fara hanno già scritto due storie con noi e ora intervistano una scrittrice “di mestiere”, Daniela Palumbo. Si sono preparati cercando sul web un po’ di notizie su di lei e c’è qualcuno che è riuscito a leggere al volo il suo ultimo libro.

Quanto tempo impiega a scrivere un libro?

Dipende dalla lunghezza e dall’argomento. L’ultimo, Le Valigie di Auschwitz, è stato più lungo perché c’erano delle storie da documentare, non solo fantasia: bisognava leggere e ascoltare. A volte ci metto anche due anni e, poi, nel frattempo lavoro, mi dedico alla mia famiglia. Per le storie più brevi, basta qualche settimana.

Com’è diventata scrittrice?

Passione. Qualunque cosa facessi, dietro c’era la voglia di scrivere. Anche ora è così. Scrivo come giornalista, amo moltissimo il mio mestiere, ma non è lo stesso che raccontare le storie ai bambini… i grandi vogliono conoscere la cronaca, capire cosa accade nel mondo, ai bambini il mondo puoi raccontarlo anche come lo vedi tu, e puoi trovare il lato nascosto delle cose, quello che gli adulti non vedono più, invece per i bambini è importante, arricchisce il loro universo interiore.

Che genere di libri scrive?

Libri che, come dice mia figlia, sono “un po’ tristi e un po’ si sorride”. Mi piacciono le tematiche sociali, quando vai a vedere cosa succede anche se non ti riguarda direttamente; vai tra gli “ultimi” a guardare cosa accade. Nelle fiabe piccoline, invece, divento allegra.

Da quanto scrive?

Dal 1999 pubblico, ma scrivo da sempre. Alle medie stavo in una classe femminile, a Roma, noiosissima. Si doveva per forza inventare qualcosa! Chi raccontava barzellette… io ero brava a scrivere storie e ce le passavamo sotto al banco nelle ore terribili di italiano. Erano sempre storie d’amore, naturalmente… eravamo femmine!

Come le vengono le idee?

Da quello che vedo in giro. Chi scrive ha una percezione diversa, sta attento ai particolari che sfuggono, per tessere una storia. Vede un bambino che fa una cosa e immagina il suo passato, la storia. Guardando però la realtà e ciò che accade.

Le idee sono materiali o fantasia?

Un po’ e un po’. Anche la fantasia viene da quello che vivi e fai. Ci metti l’immaginazione, nella tua storia e nelle storie degli altri.

Quale libro ha avuto più successo?

L’ultimo, Le Valigie di Auschwitz. Edizioni Piemme.

Quando scrive?

Nei momenti liberi. Lavoro part-time, solo tre giorni, così gli altri due scrivo (che poi è uno, alla fine). E poi la sera.

Chi sceglie il titolo?

Io metto un titolo e poi l’editore lo tiene, altre volte non va bene e si arriva a una cosa comune tra editore e autrice.

Scrive a penna o sul computer?

Tutte e due. Ho tantissimi block notes perché mi appunto idee o documentazione (quando leggo), ed è indispensabile scrivere a mano. Per elaborare tutto quanto, passo al computer.

Scrive subito in bella o fa la brutta?

Sono piena di brutte. Bisogna buttare e rifare, buttare e rifare.

Quanti libri scrive in un anno?

Uno, che è già tanto.

Prima di pubblicare un libro, lo fa leggere a qualcuno?

Non tutti, qualcuno sì e qualcuno no. All’inizio lo facevo e adesso più raramente, magari a mio marito qualche cosa e, se sono brevi, a mia figlia.

Il lavoro di fare la scrittrice è il suo unico lavoro?

Faccio anche la giornalista per Scarp de’ tenis, su temi sociali.
Ah già, l’abbiamo visto sulla quarta di copertina del suo libro.

Nella sua famiglia ci sono altri scrittori?

C’è un altro giornalista, mio marito.

Quando ha pubblicato il primo libro?

Il mio migliore amico, una storia di amicizia tra un ragazzo disabile e un ragazzo “normale”. Era il 1999, dunque facendo un po’ di conti avevo trentasei anni.

Qual è il suo libro preferito?

L’ultimo, mi dà tante soddisfazioni, sono contenta. Dieci anni fa non sarei andata così a fondo in certe cose, è una maturazione che è avvenuta dentro e ti serve non solo per lo scrivere. E poi La Balena Cecilia.

Quanti libri ha scritto?

Ne ho scritti undici o dodici.

Un consiglio a lui per iniziare a scrivere una storia?

Prima bisogna leggere molto molto e poi osservare, perché nelle cose più banali e normali ci sono dettagli che possono diventare elementi diversi nella tua storia. Osservare, prendere spunti.

Conosce qualche scrittore famoso, ha amici scrittori?

Pierdomenico Baccalario, Fulvia Degl’Innocenti, Guido Quarzo (scrittore e maestro elementare di Torino, molto simpatico).

Si fa amicizia tra scrittori?

Se ti trovi come persona, ti piaci e hai delle cose in comune oltre alla scrittura sì, se no resta solo una conoscenza. Si fa molto gruppo: gli scrittori del Piemonte, quelli di Torino, di Milano…

Vi scambiate idee?

Con alcuni, tipo con Fulvia, ci si racconta le storie del momento.

Consigli per facilitare il lavoro?

Osservare quello che accade intorno, essere cronisti di quello che succede, non solo a scuola, ma anche a casa. Andare oltre la frase, la parola, lo sguardo e vedere, percepire l’altro e cosa pensa. Il lavoro dello scrittore è mettersi nei panni dell’altro e capire cosa pensa. Cercare di dire “mi riguarda” anche se non mi tocca.

Ha uno studio o scrive a casa, oppure al parco?

Gli appunti li prendo dove sono; per scrivere al computer, invece, ho una sala da pranzo molto spaziosa che ho diviso con una grande libreria per creare un angolo dove scrivere. È importante avere un angolo dove scrivere, essere soli con quello che si ha in mente, per pensarlo e strutturarlo, leggere gli appunti, mettere un po’ di musica e aspettare che le cose vengano. Ognuno scrive in modo diverso; c’è chi ha bisogno di confusione. Come giornalista lo faccio, ma per un libro mio ho bisogno di essere solitaria.

Le viene mai il blocco della scrittrice?

Sì, succede. Allora faccio altro, vado via dal momento e faccio altro. Poi, magari dopo due giorni, noti qualcosa (come nei gialli, quando Hercule Poirot vede una cosa che gli fa pensare a quello che stava cercando), che avevi già dentro in un angoletto, arriva un lampo di cui avevi bisogno.

Qual è il suo genere preferito?

I gialli mi piacciono molto, e poi alcuni autori: Italo Calvino, Ernest Hemingway. Le storie di avventura o anche d’amore. Un genere preciso no, solo il giallo, fin da piccola.

Qual è il tuo libro preferito?

In alto a sinistra, di Erri De Luca. Per chi suona la campana, di Hemingway.

In questo periodo cosa sta scrivendo?

Una storia generazionale, parla di tre bambine in tempi diversi, a partire dal 1950 (quando noi italiani emigravamo in Argentina). Racconta di migrazioni.

Noi siamo i primi a sapere questa trama?

Sì, siete i primi… ma vi ho detto poco! È un bel regalo, però. Ve ne dico un altro che esce a giugno. Parla dei samurai giapponesi: Il volo del falco. Ma magari lo cambiano, il titolo. In anteprima!

Le piacerebbe che uno dei suoi libri diventasse un film?

Sì, come a tutti gli scrittori. L’ultimo, Le Valigie di Auschwitz.

Come Anna Frank?

Sì.

Si è mai documentata direttamente sul luogo?

Si, ad Auschwitz. Ci volevo andare da tanto tempo e poi il libro è stato uno stimolo per farlo. Sono andata che stavo già scrivendo. In qualche modo lo riesci a vivere più che nell’immaginazione. Sono andata, ma solo per passione, anche nelle riserve dei Sioux e poi è nata la storia.

Come ha fatto a fare uscire il libro?

L’ho mandato a un concorso (Il Battello a vapore) e poi le edizioni Piemme l’hanno pubblicato. Per gli altri libri, provi, li mandi agli editori che pensi interessati. A volte va bene, altre no.

Alcuni sono falliti?

Tanti non sono stati pubblicati. A volte ci perdi tempo, energia e passione e ti chiedi “Ma come non piace?”. Sì, succede. Soprattutto con le storie piccole. Io ho tante idee e scrivo, ho la passione, per cui vai avanti a oltranza perché è una cosa che riguarda te, non riesci a smettere. Se poi arriva la pubblicazione, meglio, se no va beh. Se lo fate per i soldi, questo lavoro, non vi conviene, a meno che non diventiate famosi. Ma si contano su queste dita qui! Il Battello a vapore ti dà 2500 euro come anticipo dei diritti d’autore e poi il libro va in libreria; finché non li esaurisci non prendi nulla e, su quello che viene dopo, la percentuale sulle vendite, bassa (tipo il 7% su 11 euro). Devi vendere tantissimo per essere ricca, tipo Harry Potter, di cui hanno fatto anche i film e che, inoltre, ha venduto in tutto il mondo (per cui hanno comprato i libri anche all’estero).

Da Le Valigie di Auschwitz quanto hai ricavato?

Ancora non lo so, mi devono mandare l’estratto vendite. Però sta andando bene, è tradotto all’estero, in Spagna e in Polonia.

Hai mai scritto un racconto autobiografico?

No, la mia vita non è così avventurosa. Ho scritto la biografia di Maria Montessori, racconti della sua vita; la sua vita è stata fantastica, molto piena di cose e persone, molto importante.

Le danno un estratto conto? Dopo dieci anni il libro vende un sacco?

No, ormai si pubblica moltissimo e le librerie non possono esporre a lungo. La vita di un libro è sui 4 o 5 anni. Siamo troppo in movimento, troppo veloci.

Dove vanno i libri non venduti?

Al macero o regalati dall’editore.

Non ti tornano indietro?

A un certo punto la vita del libro finisce e l’editore ti scrive che lo stanno per togliere dal catalogo. Lo vuoi scontato del 90%? Però non è che puoi prenderti tutte le copie, e poi lo devi comunque comprare!

Leggi libri solo in italiano?

Un pochino in inglese, ma direi in italiano.

Ma quindi quanto guadagni?

Vi manderò l’estratto conto…

Se a qualcuno piace la lettura, che scrittore consigli?

Pierdomenico Baccalario, per i ragazzi… mi darà la percentuale! Di avventura non leggo molto.

A questo punto, è la scrittrice a rivolgere qualche domanda ai ragazzi.

E voi, avete provato a scrivere delle storie?

C’è chi risponde che le storie le scrive, ma le tiene nascoste nell’armadio. Chi attinge dalla mitologia greca, per tessere le proprie trame, e chi dai diari d’amore (quelli segreti, con il lucchetto, e quelli pubblicati sulla pagina facebook).

Quali generi vi appassionano?

Davanti a questa suggestione, si scatena un dibattito sulla vita e l’opera di Agatha Christie! Il giallo e il fantasy sono i generi più amati.
Ditemi le vostre passioni… Le Valigie Auschwitz, inizialmente, parla delle passioni dei bambini.
A parte il calcio, i ragazzi amano molto leggere e, in qualche caso, disegnare. Per le ragazze le passioni si moltiplicano, non manca la lettura e neppure la scrittura (di cose romantiche, naturalmente).



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