C’era una volta Tino, un elefante smemorino, che continuava a perdere la strada di casa. Per dire: una volta doveva andare a destra e andò a sinistra, e si ritrovò fuori dalla foresta. “O mamma mia! E ora come torno a casa?” si chiese l’elefantino. Domandò ad un topolino che passava di là. “Scusa, topino, come torno a casa?” Ma Tino, diminutivo di Biscottino, s’accorse che in quel momento un grosso gattone stava attraversando la strada e pensò: “Ora il topino scapperà, spaventato!”. E invece il topo si girò verso il gatto e gli chiese: “Ehi, Meu, sai come si torna a casa?”. “Ohibò – pensò Tino – un topo che parla con un gatto?” Quello che Tino non sapeva è che s’era perduto in una città magica, dove gli animali sono tutti amici, le piante carnivore non mangiano la carne e le lettere che compongono le scritte delle strade, sulle lapidi, si muovono di notte e cambiano di volta in volta posizione. Ad esempio via Ozanam il giorno dopo si chiama via Manazo. Meu ci pensò su. “So come fare”, disse. E spiccò il volo. Lo so, penserete che sono matto, i gatti mica volano! Ma vi ricordate che questa è una città magica? Ebbene, in questa città (che ogni tanto si chiamava Tàtic) i gatti volano. Meu in un batter d’occhio si ritrovò sopra le nuvole e vide la strada verso la foresta. “Ehi!” urlò. Ma da lassù nessuno lo sentiva. Tino, che era smemorino, nel frattempo si dimenticò di Meu e andò oltre e, girato l’angolo, si ritrovò di fronte a una pianta enorme che urlava come una ossessa. (Aaahhhh!)
Continua anche tu la storia come hanno fatto i bambini della 2A della scuola Bacone di Milano al laboratorio!